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Perché Navalny è un eroe e Assange no?

  • di Alessio Mannino Alessio Mannino

Perché Navalny è un eroe e Assange no?
Già prima della sua tragica fine (e tanto più adesso) il dissidente antiputiniano Aleksej Navalny viene visto come un “eroe” che ha scelto il carcere anziché restare all’estero. Vero, anche se l’oppositore di Putin non era solo un “nazionalista”: era tacciato di razzismo, e su di lui pesava l’ombra di corruzione, la stessa accusa che lui rivolge al regime. Non si parla però abbastanza (o non se ne parla proprio) di un altro martire: Julian Assange, il giornalista che rischia di farsi quasi due secoli di galera per aver osato sbugiardare i misfatti della politica internazionale degli Usa. Perché Navalny sì e Assange no? Due pesi e due misure, come sempre

di Alessio Mannino Alessio Mannino

Aldo Cazzullo, dalla sua torretta di guardia da cui difende la libertà di pensiero (unico), anche stavolta non ha mancato di spiazzare i lettori, già per altro avvezzi all’esasperato criticismo di scuola Corriere della Sera. Nella sua rubrica delle lettere, il mirabolante Cazzullo (prima della morte dell'oppositore dello Zar) si è compiaciuto di affinare il proprio giudizio su Aleksej Anatolevicˇ Navalny, incarcerato in Russia da “eroe”, nuovo “Garibaldi”, non un “santo”, d’accordo, ma meritevole di essere come minimo “l’uomo più famoso del mondo” (“Navalny, eroe prigioniero che non scalda il mondo”, 29/12). Spiaciuto e indignato per l’indifferenza che l’ingrato Occidente riserva alla vittima di Putin, il Cazzullo postale, intellettualmente onesto come solo lui, non omette certi aspetti rimarchevoli del personaggio: “non è un uomo di sinistra”, è un “nazionalista russo”, certe sue idee sono “discutibili”, e poi ha negli occhi quel “lampo di follia” tipico di certi russi. Però, in fondo, “a differenza del criminale di guerra” al Cremlino, è pur sempre “un patriota”, che ha denunciato la “corruzione del regime” e ha avuto “coraggio” da vendere, tornando in madrepatria dopo un periodo in Germania, conscio di finire “in cella per chissà quanto tempo”. Insomma, il Nostro distruttor cortese di luoghi comuni lo dice senza dirlo, che bisognerebbe erigergli una statua a cavallo, a Navalny, perché “non ci si può arrendere a Putin”. Eh no, sia mai: Putin è un ex Kgb che spadroneggia da più di vent’anni e, benché eletto e rieletto, non ha niente a che fare con la democrazia per come la intendiamo noi (benché pure noi si abbia sul groppone, immortali di poltrona in poltrona, certi figuri da trenta, quaranta o anche cinquant’anni, vedi, per dirne solo uno, Giuliano Amato). Come direbbe Mario Draghi, è un autocrate, Vladimir. Un guerrafondaio che invade Stati innocenti, mica come noi che abbiamo fatto guerre moralizzatrici con prove false (Irak) o inesistenti (Afghanistan).

cazzullo
Aldo Cazzullo

Pertanto, se Navalny era un nemico di Putin, per sillogismo era amico nostro. E pazienza, se tiene qualche difettuccio. Ora, il Cazzullo liberal-democratico sorvola forse un po’ troppo, sui limiti del beniamino anti-putiniano. Il blogger non era soltanto un generico “nazionalista”, il che lo avrebbe reso simile alla stragrande maggioranza dei russi, che sono notoriamente molto attaccati, e in modo trasversale, all’onor di patria. Nel 2014 Peter Hitchens, sul Daily Mail, scriveva che le sue posizioni rendevano l’Ukip, il partito di estrema destra britannico, “un’avanguardia di correttezza politica”. Già nel 2007 venne cacciato dal movimento Yabloko (che dalle nostre parti definiremmo “liberale”) per le sue idee razziste, confermate negli anni successivi quando propose di introdurre i visti per gli immigrati dall’Asia e dal Caucaso, equiparati a terroristi e “scarafaggi” da schiacciare. Quanto alla campagna contro la corruzione del dispotismo putiniano, i suoi guai giudiziari derivavano dalla condanna per appropriazione indebita a scopi personali di 356 milioni di rubli (su 588), soldi sottratti alle donazioni per portarla avanti. Politicamente manovrati o no che siano i tribunali del suo Paese (ma anche qui: siamo sicuri di poter fare la morale, noi che dobbiamo sorbirci ogni santo giorno il can can sui giudici politicizzati, con la spasmodica ricerca di neutralizzarli con leggi e leggine di berlusconiana memoria e ascendenza?), e messo in conto l’avvelenamento che, secondo la Germania che lo ha ospitato per alcuni mesi, ha subìto nel 2020, Navalny è stato senz’altro, fra arresti per manifestazioni non autorizzate e gattabuia in condizioni di salute precaria, un dissidente che ha pagato un prezzo in prima persona. E lo ha fatto perché, dall’estero (in cui si era rifugiato, sostiene, solo temporaneamente, per evitare di essere ucciso), il suo ruolo sarebbe stato ininfluente, mentre così, da martire, poteva sfidare più efficacemente “l’uomo del bunker”, come chiamava Putin.

Julian Assange
Julian Assange

Sul piano etico personale, quindi, in Navalny un tratto non comune e, confrontato ai nostri standard mediamente mollicci, volendo anche, sì, eroico, è indubbio. Ma politicamente parlando, è inimmaginabile che qualsiasi Cazzullo della mega-stampa faccia l’apologia di un internato politico, se fosse ultra-nazionalista e xenofobo e tacciato pure di essersi intascato soldi. E nemmeno se fosse di altra fede ideologica, ma schiaffato dietro le sbarre in un qualche Stato autoritario quanto e peggio della Russia e però, metti caso, nostro alleato. Altrimenti, seguendo il metro di misura cazzulliano, dovremmo udire alti lai quotidiani sugli oppositori dimenticati nelle galere di Turchia (membro Nato), Egitto (che ci fa comodo), Arabia Saudita (che ci fa stra-comodo) e della stessa Ucraina (dove il dissenso è vietato per legge). Putin è quel che è, e faremmo volentieri a meno degli aspiranti Putin tra noi italiani che, diversamente dai russi, patriottici lo siamo solo ai mondiali di calcio (e oramai, neanche lì tanto), o per dare un tono alle grettezze destro-terminali alla Vannacci. Il punto è il doppiopesismo di noi come occidentali, presunti depositari del Bene. Il Cazzullo del mattino, che beatifica un Navalny, non trova poi un corrispettivo nel Cazzullo della sera che osi dire una-parola-una su Julian Assange. Il giornalista ed editore australiano oggi a Belmarsh, la Guantanamo inglese, è in attesa di sapere se a febbraio verrà o no estradato negli Stati Uniti, che gli danno la caccia dal 2010 per essere stati sbugiardati con la pubblicazione dei famosi Wikileaks, i 250 mila file sugli intrallazzi, crimini di guerra e uccisioni indiscriminate della politica estera americana. Stiamo parlando di un reporter che rischia 175 anni di carcere per aver fatto il suo mestiere, e che Nils Melzer, direttore del comitato internazionale della Croce Rossa e relatore Onu sui trattamenti dei detenuti, ha dimostrato essere stato oggetto di intimidazioni, diffamazione, manipolazione a suo danno, violazioni del diritto a un giusto processo e tortura psicologica. Parliamo, cioè, di un cittadino dell’universo “democratico” che, se quest’ultimo fosse realmente democratico, meriterebbe, cazzullianamente, un monumento almeno quanto Navalny. Ma siccome la Cia e l’apparato militar-industriale Usa gliel’hanno giurata, è stretto nella morsa della più anti-democratica delle ragion di Stato, e naturalmente ignorato, rimosso, cancellato dalla memoria collettiva. E a differenza del russo oppresso dal putinismo, Assange non può parlare dalla cella, non può inviare messaggi, è completamente tagliato fuori dal mondo. Nel silenzio dei giornalisti, orbi di un occhio e col bilancino truccato, alla Cazzullo che, Dante permettendo, forse nemmeno l’Inferno accetterebbe. Personalmente, lo vedremmo bene spedito nell’Anti-inferno. Fra gli ignavi, per l’esattezza.

Aleksej Anatolevicˇ Navalny
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