A un giorno dal quarantunesimo anniversario della scomparsa di Emanuela Orlandi in Vaticano sembra proprio non esserci pace. A quanto pare tra i corridoi della Santa Sede si respira aria di scisma. Monsignor Carlo Viganò, uno dei più conviti detrattori di Papa Francesco, tanto da arrivare a chiederne le dimissioni, è stato convocato di direttissima in Vaticano con l’accusa di scisma: “Considero le accuse contro di me un onore. Nessun cattolico degno di questo nome può essere in comunione con questa “chiesa bergogliana” perché essa agisce in evidente discontinuità e rottura con tutti i Papi della storia e con la Chiesa di Cristo. Credo che la formulazione stessa dei capi d’accusa confermi le tesi che ho più e più volte sostenuto nei miei interventi. Non è un caso che l’accusa nei miei confronti riguardi la messa in discussione della legittimità di Jorge Mario Bergoglio e il rifiuto del Vaticano II. Il Concilio rappresenta il cancro ideologico, teologico, morale e liturgico di cui la bergogliana “chiesa sinodale” è necessaria metastasi”. L’arcivescovo, ora, dovrà affrontare un processo penale extragiudiziale. A rispondere alle parole di Viganò il cardinale Pietro Parolin: “Ha assunto alcuni atteggiamenti a cui deve rispondere. È normale che la Dottrina della Fede abbia preso in mano la situazione e stia svolgendo quelle indagini che sono necessarie per approfondire questa situazione. Mi dispiace tantissimo, io l’ho sempre apprezzato come un grande lavoratore molto fedele alla Santa Sede, in un certo senso anche di esempio, quando è stato nunzio apostolico ha lavorato estremamente bene, cosa sia successo non lo so”.
Noi di MOW il nome del monsignor Carlo Viganò lo abbiamo già incontrato, a proposito della scomparsa della quindicenne cittadina vaticana Emanuela Orlandi nel giugno del 1983. Viganò, infatti, sostiene da tempo di avere ricevuto una telefonata, proprio la sera del 22 giugno, all’incirca mezz’ora dopo che si persero le tracce di Emanuela. Secondo Viganò i presunti rapitori si erano fin da subito messi in contatto con il Vaticano, a comunicarglielo il responsabile della Sala Stampa vaticana Romeo Panciroli, che gli inviò via fax la trascrizione della telefonata, che dava Emanuela come “prigioniera”. Ricordiamo però che proprio in quei giorni Panciroli si trovava a Varsavia insieme a Papa Wojtyla. A raccontarci di questa vicenda anche Pietro Orlandi, fratello di Emanuela: “Questa notizia è arrivata tre anni fa, oltre trentacinque anni dopo la scomparsa di mia sorella. Il Papa era stato avvisato dell’accaduto mentre si trovava in Polonia, questo fatto mi ha sempre colpito. A Roma erano rimasti solo due monsignori: Viganò e Sandri. Viganò ha raccontato che la sera della scomparsa erano stati contattati da monsignor Panciroli, responsabile della Sala Stampa vaticana, dicendo che era arrivata una telefonata al centralino del Vaticano girata poi alla Sala Stampa. Il senso della telefonata era questo: “Abbiamo rapito Emanuela Orlandi”. Quindi la sala stampa avvisa Panciroli in Polonia, che a sua volta chiama la Segreteria di Stato. All’orario in cui arrivò la telefonata, tra le otto e le nove di sera, noi ancora non avevamo dato l’allarme. Loro hanno capito dalla sera stessa che era una cosa grave, ma non l’hanno mai detto”. Eppure, per anni, il Vaticano ha continuato a portare avanti che la scomparsa di Emanuela fosse un caso di terrorismo internazionale…