A quarantadue anni dalla scomparsa di Emanuela Orlandi la Procura di Roma ha inserito lo zio, Mario Meneguzzi, nell’indagine sulla sua sparizione avvenuta il 22 giugno 1983. Lo zio Mario, marito della sorella di Ercole Orlandi, papà di Emanuela, è venuto a mancare ormai da qualche anno, ma la sua figura è stata al centro di particolari attenzioni anche nel periodo immediatamente dopo la scomparsa, posizione che fu poi archiviata in breve tempo. Attualmente si sta ora parlando di una perquisizione avvenuta nella villa di Torano, che si trova a circa 200 chilometri da Roma, dove la famiglia Meneguzzi era solita recarsi durante l’estate e nei giorni di festa. Eppure, questa perquisizione di cui tanto si sta parlando, ricordiamo che non è avvenuta in questi giorni, ma nell’aprile 2024. Come mai fa così tanto discutere questa casa di paese? Perché è proprio a Torano che si trovava Meneguzzi il giorno in cui scomparve Emanuela, quando poi, dopo essere stato avvisato dal cognato, tornò a Roma per partecipare alle ricerche della nipote. Di Emanuela, quindicenne cittadina vaticana, si persero le tracce all’uscita della scuola di musica Ludovico Da Vittoria, nel complesso della Basilica di Sant’Apollinare. Che la scomparsa di Emanuela potesse essere in qualche modo collegata a una pista familiare si è iniziato a discutere nell’estate del 2023, quando durante il Tg di La7 condotto da Mentana, fu diffusa una lettera che Agostino Casaroli, al tempo della scomparsa Segretario di Stato Vaticano, spedì per via diplomatica a un sacerdote sudamericano mandato in Colombia da Giovanni Paolo II.
Ma chi era questo sacerdote? Il confessore della famiglia Orlandi. È ancora: cosa conteneva questa lettera? L'intento era quello di stabilire se il sacerdote sapesse o meno che Mario Meneguzzi avesse fatto delle avance a Natalina Orlandi, sorella maggiore di Emanuela. Il sacerdote rispose di esserne a conoscenza, ma l’indagine non prosegui oltre, tanto che lo zio non fu mai formalmente indagato. Pietro Orlandi continua a ribadire la vicinanza e compattezza con i cugini Meneguzzi, ancora riconoscente di quanto abbia contribuito lo zio nel cercare la sorella. Non solo, fu lui a rispondere alle telefonate da parte dei presunti rapitori che arrivarono a casa nel periodo immediatamente successivo alla scomparsa: “Io e mio padre non ne avremmo avuto la forza, eravamo completamente persi. Non so come avremmo fatto senza di loro. Sono stanco di commentare questo ennesimo depistaggio, molto più chiaro oggi rispetto al passato. Posso solo dire a chi pensa che sia vera questa pista, che così mette anche in dubbio le parole di Papa Giovanni Paolo II quando venne a casa nostra e ci disse che Emanuela era vittima del terrorismo internazionale. Era anche lui un depistatore? Lo chiedo a coloro che credono nella responsabilità della famiglia. Perché il Papa avrebbe dovuto raccontare una menzogna? Per difendere mio zio?”. Si sta prendendo in considerazione la pista familiare perché appare quasi come un’uscita di comodo?