Oggi, in Commissione parlamentare d’inchiesta, è stato finalmente ascoltato Giancarlo Capaldo, il magistrato che si occupò di indagare della scomparsa di Emanuela Orlandi prima dell’ultima archiviazione. È da tempo che Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, chiede che venga fatta questa audizione, per poter finalmente verbalizzare il racconto di Capaldo di una trattativa tra Stato e Vaticano, non andata poi in porto, proprio sul caso Orlandi. Una trattativa che risale a quando divenne di dominio pubblico il fatto che Enrico De Pedis, boss della Banda della Magliana, fosse sepolto nella Basilica di Sant’Apollinare a Roma. E che succede? L’opinione pubblica, scossa da questa "discutibile" tumulazione approvata dalla Santa Sede, fa sì che il capo della gendarmeria vaticana Domenico Giani e il suo vice Costanzo Alessandrini, vengano mandati dalle alte sfere a incontrare il magistrato Giancarlo Capaldo, che al tempo era proprio a capo delle indagini sul caso Orlandi. Touche. I due emissari del Vaticano gli chiesero di collaborare per aprire la tomba, che “il caso vuole” fosse proprio dove Emanuela frequentava le lezioni di musica. Il loro obiettivo era quello di togliere la Santa Sede dall’imbarazzo pubblico di aver fatto tumulare un criminale all’interno di una Basilica. L’ultima volta che Capaldo ne ha parlato pubblicamente è stato durante una puntata di Atlantide, condotta Andrea Purgatori: “Ebbi la sensazione che i due emissari del Vaticano che vennero da me sapessero che Emanuela non era più viva. Qualcuno avanzò anche l’ipotesi che ci fosse il corpo di Emanuela lì dentro, e per questo risposi ai due personaggi in questione che non ne capivo il motivo visto che Emanuela era scomparsa nel 1983, e il boss era stato ucciso nel ’90. Gli feci notare che negli anni precedenti non avevano fornito nessuna collaborazione. Gli chiesi collaborazione nel mettere a disposizione dell’autorità giudiziaria notizie su Emanuela che ritenevo il Vaticano potesse avere. Per me era impossibile che in 30 anni non si fossero mai occupati di una ragazza, cittadina vaticana, per cui il papa Giovanni Paolo II aveva fatto otto appelli. Mi dissero che avrebbero chiesto a chi di dovere, presumo al Segretario di Stato per poter avere un’autorizzazione a collaborare con noi. Gli feci l’esempio dei desaparecidos sudamericani, poi ritrovati cadaveri. Le loro madri avevano ritrovato un po’ di pace insieme ai resti dei loro figli, sebbene torturati e uccisi. Capirono il mio discorso. Poi tornarono, risposero che avevano avuto il via libera per contribuire alla ricostruzione del caso. Qualcuno li aveva autorizzati, mi dissero. I due emissari vennero in Procura, accettarono di collaborare se noi l’avessimo tolti dall’imbarazzo di sgomberare la tomba di De Pedis, in cambio di informazioni su Emanuela o sui suoi resti. Io dedussi che loro sapessero che Emanuela non fosse più viva. Non chiedevo loro di sapere tutto quanto fosse accaduto ma ero convinto che il Vaticano era a conoscenza di molte cose importanti”.
In Commissione Capaldo ha aggiunto un particolare di non poco conto: "Giani mi fece presente che non veniva di sua spontanea volontà, ma perchè era stato incaricato da padre Georg come segretario di Benedetto XVI, e voleva segnalare che il Vaticano era preccupato da una serie di valutazioni che si facevano sulla stampa che coinvolgevano il Vaticano come ente poco collaborativo nella ricerca di Emanuela Orlandi. In particolare Giani mi chiese, come se fosse una richiesta che lui transitava, diciamo così, da padre Georg, di aprire la tomba di De Pedis perché il Vaticano riteneva importante che fosse aperta dalla procura di Roma". Ma non era padre Georg che smentiva l'esistenza di un dossier sul caso Orlandi in Vaticano? Ricordiamo che Capaldo è stato l’ultimo ad occuparsi della sparizione di Emanuela, prima che l’inchiesta venisse archiviata per volontà dell’attuale presidente del Tribunale Vaticano Giuseppe Pignatone, che al tempo era a capo della Procura di Roma. Su questa trattativa Pietro Orlandi ha più volte espresso il suo pensiero: “Un’altra persona da ascoltare è l’ex comandante della gendarmeria Giani, che ha fatto delle cose particolari sulla trattativa di Capaldo. Lui e Alessandrini. Poi c’è Pignatone e tutta quella questione delle intercettazioni della moglie di De Pedis in cui lo chiamavano il procuratore nostro e dicevano: "Ci penserà lui a far tacere Orlandi". Ha cacciato Capaldo e poi è stato promosso presidente del Tribunale Vaticano”. Alla vigilia di questa convocazione, che potrebbe davvero rappresentare una svolta per il caso della scomparsa di Emanuela, noi di MOW abbiamo contattato Pietro, che ci ha confidato il suo pensiero: “Spero che Capaldo dica in Commissione tutto quello che dice a me”.