Autunno 2009. Romanzo Criminale esplode, e la Banda della Magliana torna ad affacciarsi sul palcoscenico mediatico come una saga pop. Ma chi con quella banda ci ha fatto i conti sul serio, sa che di epico non c’è proprio nulla. Lo sa il giornalista Alessandro Ambrosini, che su Notte Criminale lavora da anni su Massimo Carminati e sul sottobosco criminale romano. Lo sa quando Marcello Neroni, uno dei nomi della vecchia guardia, accetta un’intervista. Il magistrato Otello Lupacchini lo avverte: «Non vada, quello è un criminale vero». E lo era davvero. Neroni, lo strozzino che aveva fatto affari con Enrico De Pedis, si presenta con il suo libro sacro sotto braccio: non la Bibbia, ma l’ordinanza d’arresto firmata proprio da Lupacchini. Faccia scavata, voce roca, atteggiamento da gangster di quartiere e pretese chiare: niente telecamere, niente registrazioni. Ma Ambrosini sa come funziona quel mondo, e registra tutto. Quattro ore di incontro, tra racconti grevi e dettagli precisi. Un flusso continuo in cui Neroni scivola anche nel caso Orlandi, la quindicenne cittadina vaticana scomparsa nel 1983. «Parole troppo forti per Emanuela e per Giovanni Paolo II», scrive Ambrosini. Non c’è voglia di provocare, né teatrino: c’è solo una verità brutale, scomoda, difficile da scrivere. Ma c’è. Con nomi, movente, linguaggio da strada e un’ombra lunga su chi comandava a Roma, tra crimine e istituzioni. Neroni non è uno qualunque: è stato “nodo” tra la Banda, i servizi segreti e certi ambienti in divisa. A Roma aveva una sala giochi a due passi dalla sede della DIA e da una palazzina dei servizi. Lì, a gestirla, c’erano a volte anche agenti. «Un nodo così importante da evitarsi il marchio d’infame».

Nel 2022, con il pensiero del tempo che passa e della salute, Ambrosini decide di condividere quei file con Pietro Orlandi, fratello di Emanuela che da più di quarantadue anni si batte per arrivare alla verità. Il 9 dicembre, Notte Criminale pubblica per la prima volta alcuni stralci dell’intervista. Accuse dirette a Wojtyła, Casaroli, De Pedis e due cappellani di Regina Coeli. Pesantissime. Ma c’è di più. Nel 2018, un uomo (nome di fantasia: Giorgio) trova sulla sua scrivania una busta anonima. Dentro, un foglio con diciassette righe: mandanti, esecutori e movente del rapimento di Emanuela. Stessi nomi, stessi dettagli, stesso schema dell’intervista con Neroni. Scritta con linguaggio tecnico, come se arrivasse «da qualcuno interno alle forze dell’ordine o ai servizi». Giorgio la tiene nel cassetto. Troppo assurda, troppo pericolosa. Eppure quella lettera anticipava, parola per parola, ciò che Neroni aveva detto anni prima. Coincidenza? La domanda è: perché nel 2018 qualcuno, forse dei servizi, sente il bisogno di far riaffiorare questa “verità”? Perché, dopo 42 anni, ancora si gira attorno a una pista che tutti vogliono ignorare? E oggi, mentre la Commissione parlamentare vira su una pista “amical-parentale”, la stessa pista che sembra fatta apposta per non disturbare, questa verità resta fuori dal coro. Perché tocca santi, prelati e apparati troppo grandi da guardare in faccia. Una verità rimasta sepolta in un file audio, in una lettera scritta al computer, e in una storia che Ambrosini, con questa seconda parte dell’inchiesta su Notte Criminale, ha solo cominciato a raccontare. La terza parte arriverà. E farà ancora più rumore.

