Il 10 dicembre 2010 in via Baccio da Montelupo, a Firenze, sono stati trovati i corpi di Gianni Coli, noto parrucchiere 55enne, e di sua madre, Bruna Boldi, di 84 anni. I due omicidi sono rimasti senza colpevole ed entrati di diritto nella categoria dei cold case, delitti a pista fredda. Chi ha ucciso il noto hair-stylist e la sua anziana madre? Certamente qualcuno che voleva vendicarsi ed è riuscito a farla franca come tanti altri mostri senza nome. Gianni Coli è stato attinto da circa quaranta coltellate. Nei suoi riguardi si può parlare di vera e propria esecuzione. Qualcuno, nella notte tra l’8-9 dicembre 2010, si è recato nel suo appartamento con un solo intento: quello di ucciderlo. In gergo tecnico si parla di overkilling, ormai lo sapete, di violenza sproporzionata con la quale viene uccisa una vittima rispetto all’obiettivo di provocarne la morte. L’assassino del parrucchiere ha compiuto un eccesso di violenza aggiuntiva rispetto a quella necessaria per ucciderlo ed ha infierito sul suo corpo con un numero di coltellate superiore a quelle rivelatesi fatali. Per questo a mio modo di vedere si può parlare di spedizione punitiva. Un passaggio dirimente anche nell’ottica del movente che è certamente passionale. L’offender ha pugnalato Gianni anche al cuore, dove fa più male. Il cuore è infatti simbolo di passione e sangue. Sede di affetti, sentimenti ed emozioni. Dunque, non ci sono dubbi sul fatto che non si è trattato né di un movente economico né di una rapina finita male. E non solamente perché dall’abitazione di madre e figlio non mancava niente. Piuttosto, circa tre settimane prima dell’omicidio, Gianni era stato ospite in una trasmissione radiofonica e aveva dato dei dettagli su alcune delle sue frequentazioni di spicco nel mondo fiorentino. Rivelazioni pericolose e che potrebbero aver indispettito qualcuno.
Nonostante l’intervento da parte del gruppo E.R.T., nucleo speciale della polizia specializzato nella repertazione delle tracce, sulla scena del crimine sono stati isolati diversi Dna. Chiaramente, essendo peraltro noto come la sua abitazione fosse frequentata da molte persone del mondo omosessuale, non era un dettaglio di per sé rilevante. Se non fosse per il profilo genetico subungueale (in anatomia e in patologia, situato al disotto dell'unghia). Quello a destare maggiore interesse è quello repertato sotto le unghie del Coli. Un Dna ricavato dalle cellule di epidermide e repertato sotto le unghie di quest’ultimo. Un materiale quasi certamente rilasciato dall’assassino mentre il parrucchiere cercava disperatamente di difendersi. In soldoni, lo ha graffiato. Questo significa che l’assassino, seppur conoscesse le sue vittime, non aveva precedenti penali. Difatti, in Italia non esiste una generale banca dati del Dna. La schedatura riguarda esclusivamente i soggetti con precedenti penali e, in via eccezionale, i consanguinei di persone scomparse. Dunque, anche in questo caso, aver un profilo unico non è stato dirimente perché per verificarne l’appartenenza occorreva un secondo codice genetico con cui compararlo. Che però è mancato perché evidentemente l’assassino di Gianni Coli e Bruna Boldi è un incensurato. Secondo il principio di Locard, che guida l’analisi della scena del crimine da quando è stato coniato nel 1911, ogni criminale lascia sulla scena delle tracce di sé, e di ogni scena resta traccia sul criminale che si è mosso al suo interno. In maniera più semplice, ogni contatto lascia una traccia. Anche questo caso non fa eccezione. Difatti, vista la mattanza compiuta, l’assassino deve aver sicuramente lasciato un quantitativo copioso di tracce di sé all’interno dell’appartamento. Tracce che però non sono state attribuite perché come detto probabilmente l’offender è un incensurato. Senza dubbio Gianni Coli conosceva il suo assassino e la sera in cui è stato ucciso avevano un appuntamento. Ed il perché ce lo racconta la criminodinamica. Il Coli gli ha aperto la porta di casa e questo lo sappiamo perché la porta non mostrava segni di effrazione. Secondo quanto ricostruito dalla consulenza medico-legale le prime coltellate sono state inflitte quando il Coli era voltato di spalle, dunque, in quella che viene definita una condizione di minorata difesa. Una condizione tipica di chi non teme di essere certo in pericolo. In più dall’abitazione sono stati sottratti il cellulare e l’agenda di Gianni. Questo a testimonianza del fatto che l’assassino temeva che da quegli effetti personali sarebbero potuti risalire a lui.
La fase omicidiaria ci racconta che il crimine è stato premeditato. Difatti, l’arma del delitto, un’arma da punta e da taglio, non è stata un'arma di fortuna e cioè reperita direttamente sulla scena del crimine. Al contrario, l’assassino è arrivato con la stessa a casa del Coli e con la manifesta intenzione di uccidere. In questo contesto, poi, un altro elemento dirimente lo si ha in relazione alla madre Bruna Boldi. Bruna, infatti, è stata solamente quella che noi addetti ai lavori definiamo vittima collaterale. In soldoni, la Boldi non era nell’obiettivo del killer ma è stata uccisa perché chiaramente sarebbe stata una testimone scomoda se sopravvissuta. Dato che si era precipitata nel corridoio dopo aver sentito le urla del figlio. Per la fine della storia non meno rilevante è stata l’intervista rilasciata alla radio dal parrucchiere fiorentino poco prima di morire. Secondo il linguaggio paraverbale, che riguarda le caratteristiche vocali e non verbali del linguaggio, Coli nell’intervista in questione dimostra di avere una forte personalità, uno spiccato carisma e di essere profondamente sicuro di sé. Dice di sé: “Sono un finocchio ma che ha anche un po’ di cultura”. Sul piano paraverbale, esibisce dunque una voce decisa e sicura. Mantiene un’intonazione stabile e con volume moderato, che contribuiscono a trasmettere fiducia e autorevolezza. Coli parla con chiarezza senza urlare o sussurrare, suggerendo una presenza autorevole e una comunicazione efficace. Chi è il suo assassino ancora in libertà? Non è dato saperlo, perché ad oggi resta sempre un “mostro senza nome”, come racconta anche la serie Sky sui cold case più misteriosi d’Italia, condotta da Matteo Caccia. Ne sapremo di più?