Fa abbastanza schifo la retorica di ieri e di oggi. Quella per cui siamo tutti colpevoli perché siamo maschi, perché è un modello, perché la tradizione, gli schemi, la violenza, la sopraffazione, il controllo. Si parla di tutto fuorché di "male". Si pensa che usando dieci parole al posto di una allora la spiegazione sia più chiara. Non è così. Filippo Turetta, se giudicato colpevole, non è un esempio dell'insieme maschio. Tuo padre, tuo fratello, tuo cugino, il tuo docente, il tuo migliore amico, tuo nonno sono esempi dell'insieme maschio. Un uomo, per uno come l'assassino di Giulia Cecchettin, chiede l'inferno. Chiunque abbia idea di cosa vuol dire essere uomo sa che l'assassino di Giulia è il contrario dell'uomo, è l'anti-uomo. Il suo gesto non è espressione di nulla che abbia a che fare con il suo ruolo di genere in una relazione. Ma non si può, ovviamente, negare un problema. Discolparsi è inutile di fronte a qualcosa che ci sfugge di mano, soprattutto negli ultimi anni.
Un male tanto oscuro, che non sappiamo capire, non andrebbe mai diagnosticato ad altri. La sofferenza di quei genitori, il "semplice fatto" che una ragazza, una donna, non ci sia più, è una tragedia che ammutolisce. Di fronte alla sofferenza umana non dobbiamo tirare fuori solo la rabbia sociale. E non dobbiamo rendere la colta collettiva. Questo mostro giuridico, tipico delle società primitive e, nel Ventesimo secolo, del nazismo, non pone le premesse per ragionare insieme, uomini e donne, su un problema reale che ha anche a che fare con le storture di un sistema di potere dell'uomo sulla donna. Che è innegabile, ma proprio per questo va compreso al di là degli slogan, accettando appunto che siano storture, più o meno sedimentate, e residui di un mondo che per fortuna sta cambiando, anche se troppo lentamente. E rallenta, questo cambiamento, anche per via delle pene certe, della prevenzione, di percorsi che permettano agli uomini di essere migliori. Di essere come la media e oltre la media, perché non possiamo dimenticare che la maggior parte degli uomini non uccide. Dobbiamo ritornare a pretendere accanto a noi, nella società, persone per bene, uomini o donne che siano, con i loro ruoli, con i loro valori e con la loro tradizione. Questo è il senso della democrazia liberale.
E lasciate stare il padre di Filippo, che non credeva che il figlio potesse essere tanto geloso e violento. Cosa vi aspettate da un padre? La verità è che non ve ne frega nulla dell’umanità, dei sentimenti, del fatto che un genitore, almeno all’inizio, chiude gli occhi, deve farlo se ha un briciolo di amore per suo figlio. Abbiamo paura del dolore, dei fatti che ci capitano dentro. Figuriamoci se possiamo capire l’amore, il dolore e pure la paura del padre di Filippo, la paura di un padre che non vuole credere suo figlio un assassino. I genitori perdono sempre, questa è una delle poche lezioni generali che dovremmo imparare. I genitori, comunque vada, sono lì, nel mezzo, coinvolti, li guarderanno, e se non lo faranno si guarderanno loro stessi, allo specchio. Tutti, in questa storia, resteranno senza un figlio. Anche i padri, i veri uomini di questa storia.
Infine lui, Filippo, che si è rovinato la vita e l'ha rovinata a tanti. Lasciatelo in pace, che la giustizia faccia ciò che deve. E nel frattempo possa tornare più uomo e meno anti-uomo. Ecco cosa gli auguro:
“A seconda della propria specificità, la religione, in diverse condizioni, rende possibile il perdono, lo sgravio dalla colpa oggettiva e dalla mancanza. La coscienza della colpa può essere tale da sottrarre all’uomo ogni speranza di poter di nuovo volgere verso il positivo, mediante nuove azioni, la bilancia complessiva della sua vita. Abbiamo già visto, precedentemente, che l’idea di una tale bilancia complessiva presuppone un'oggettivizzazione della propria vita, che non corrisponde alla presenza della persona in ogni momento della vita e in ogni sua azione. Ma proprio ciò che è falso nella vita, proprio la colpa, c’impiglia in contesti che acquisiscono una superiorità sulla libertà della persona di essere presente in ogni sua azione per così dire fuori dal contesto, dunque direttamente. Soltanto la coscienza della remissione spezza questi contesti e «fa che la mia giovinezza sia nuova come quella di un’aquila», in altre parole consente alla persona di dare alle proprie azioni un nuovo senso originario evitando che il passato la paralizzi. Il pentimento non può da solo condurre a questa liberazione perché la colpa è un ambito oggettivo di coinvolgimento, che non può essere eliminato dal soggetto colpevole”. (Robert Spaemann, Persone, Laterza 2005)