La riapertura dei voli diretti tra l’Italia e la Libia è, sulla carta, la più bella e simbolica notizia di politica estera dall’inizio del governo Meloni. Mostra la volontà di Roma di giocare da protagonista nella fu Quarta Sponda e riapre la prospettiva di evitare che altri Paesi (Tunisia, Egitto e, soprattutto, Turchia) siano da filtro per i collegamenti tra i due Paesi. Oltre il lato simbolico, dà l’idea di un’Italia che mostra bandiera in Libia, dopo anni di regresso della politica estera nel Paese. E soprattutto, offre un canale trasparente e vidimato da regole internazionali per quella quota legale di immigrazione che può essere sottratta al periplo mediterraneo. Ad annunciarlo è stato il premier libico Abdulhamid Dabaiba, che ha parlato di voli Italia-Libia, partendo dal collegamento tra Fiumicino e Tripoli, “entro settembre”. I collegamenti tra i due Paesi erano fermi da un decennio, dopo che la guerra civile aveva inghiottito il Paese rimasto fragilissimo al termine dell’insurrezione che nel 2011 destituì il colonnello Gheddafi.
In passato esistevano i collegamenti tra l’Italia e le due principali città del Paese, Tripoli e Bengasi. Le partenze avvenivano da Roma, Milano e Catania con viaggi operati da Libyan Arab Airlines e Alitalia. Dopo il graduale rientro della comunità italiana rimasta nel Paese dopo la fine del colonialismo, i voli servivano soprattutto a fini commerciali e, in forma limitata, turistica sul fronte Italia-Libia. Non è un caso che la presidente dell’Associazione italiani rimpatriati dalla Libia (Airl), Francesca Prina Ricotti, abbia esultato per il ripristino dei collegamenti aerei. Prina Ricotti sottolinea che questa mossa non farà che agevolare “gli scambi economici e culturali”.
Ma non è, chiaramente, tutto oro quel che luccica. Giorgia Meloni e il suo governo devono consolidare una presenza stabile in Libia. E la ripresa dei voli mette l’Italia in discontinuità con altri Paesi europei. Del resto, già da tempo, silenziosamente Eni è rimasta attiva, diventando il primo produttore di gas e petrolio straniero sul suolo libico; aziende come Bonatti sono attive nelle infrastrutture; la presenza diplomatica è rimasta costante. Ma ad oggi, la Libia di cui parla l’Italia non è un Paese unito, ma si limita alla Tripolitania ove ha sede il governo internazionalmente riconosciuto. Non si espande alla Cirenaica, dove detta legge il generale Khalifa Haftar in una diarchia che vede l’Italia in difficoltà nel cercare di ricostruire una presenza. E la ripresa dei voli dovrà scontrarsi con prospettive politico-militari tutt’altro che rosee.
Cosa succederà, ad esempio, se in futuro i vettori aerei che opereranno sulla tratta Italia-Libia saranno messi in difficoltà dalla presenza di milizie rivali del governo? O se gli aeroporti libici fossero occupati o divenissero teatro di guerra? L’Italia deve evitare che queste dinamiche inficino una manovra che deve aiutare le relazioni tra i due Paesi e favorire gli scambi. Non ridursi a uno spot o, peggio, a un’opportunità di rischio.
Per questa ragione il governo Meloni non ha ad oggi seguito l’omologo di Tripoli nel dare date certe per la formalizzazione di una svolta che va accolta con prudenza. La missione libica del presidente dell’Ente nazionale per l’aviazione civile (Enac), Pierluigi Di Palma alla vigilia dell’annuncio di Dabaiba ha avuto esito positivo. Ma restano ostacoli legali da doppiare. La Libia è nella “black list” europea come Paese a rischio ed è sottoposta a quello che nel gergo aeronautico è chiamato Notam (Notice to Airmen, avviso ai piloti). A promuoverlo il governo italiano nel 2018, lanciando un avviso che ha interdetto i voli diretti per rischi legati all’intercettazione contraerea e all’insicurezza degli aeroporti. Servirà rimediare a questa interdizione per dare una data certa all’avvio e, al contempo, all’inizio solo compagnie europee e italiane, come ad esempio Ita, potranno essere gli operatori diretti. Nel 2014 la Commissione Ue ha inserito le compagnie aeree libiche in una lista di aziende aeronautiche poco adatte a rispettare gli standard di sicurezza impedendo loro di atterrare sul suolo europeo. Tale divieto è stato ribadito nel 2022 e ci vorrà tempo perché venga rimosso. Forse è dunque ancora presto per pensare a vacanze a Tripoli. Ma l’obiettivo politico di rimettere in campo collegamenti e connessioni è utile alla causa politica italiana: va concretizzato con serietà. Pena l’ennesima misura spot che poco bene farebbe alla presenza di Roma in un Paese strategico.