Alle prime luci dell’alba, e non sto parlando di quelle che il maestro di Franco Battiato suggeriva fossero visibili dentro l’imbrunire, parlo proprio dell’alba alba, l’amministratore delegato di "Mamma Rai", Roberto Sergio, ha annunciato ai microfoni di Viva Rai 2 che il 2024 vedrà il prodigioso, anche miracoloso, toh, ritorno in tv di due giganti della nostra cultura popolare, Renzo Arbore e Pippo Baudo. Il primo tornerà già a gennaio, il secondo ancora non si sa bene quando e come. In realtà il ritorno di Pippo Baudo in tv, lui che ufficialmente si era ritirato, forzatamente tempo fa, causa ricambio generazionale, suona davvero prodigioso e miracoloso. Perché esattamente un anno fa, poco meno, nei primi giorni di gennaio, la notizia che è iniziata a circolare in maniera sempre più insistente, è che Pippo Baudo stesse per lasciare questa neanche troppo metaforica valle di lacrime. Al punto che, il sottoscritto, è stato allertato da un classico: “Ti va di scrivere un coccodrillo?”. Non amo scrivere coccodrilli, che sarebbero quei pezzi freddi, cioè scritti con anticipo, sulla morte di qualcuno. Nel caso specifico, poi, stando alle voci, sarebbe stato un pezzo tiepido, perché la cosa era data per imminente. Però Pippo Baudo è nato pochi giorni prima di mio padre, il 7 giugno del 1936, mio padre il 21, e in qualche modo ha sempre fatto parte della mia vita, quindi la cosa mi ha in qualche modo colpito. Certo, anche questa pelle rovinata e questi denti storti sono sempre stati parte della mia vita, ma questa è altra faccenda, e non mi sembra carino stare a sottilizzare al momnento. Nei fatti il 13 gennaio 2023 ho scritto quanto segue, ignorando che di lì a breve avrei fatto più e più volte la tratta Milano-Ancona perché il suo coetaneo, Learco Monina, mio padre, sarebbe incappato in seri guai di salute. Anche nel suo caso ne è uscito assai bene, la classe 1936, evidentemente, ha una buona tempra. Io, classe 1969, quando mi alzo la mattina dal letto ho dolori all’anca destra, al ginocchio sinistro, alla spalla sinistra e devo ancora buttare giù qualche chilo in eccesso. Evviva mio padre, evviva Pippo Baudo. Ecco il coccodrillo da vivo che ho scritto.
Zerocalcare sarà pure geniale, ma almeno un danno lo ha fatto, ci ha reso quasi impossibile parlare di uno famoso che è morto senza dover star lì ogni volta a spiegare per filo e per segno che se ne parliamo non è tanto per parlarne, ma perché in effetti ne vale la pena, e se ne parliamo come fosse uno che abbiamo conosciuto veramente, di più, come uno di famiglia, è perché in effetti, a suo modo, uno di famiglia lo era, seppur mai ci è capitato di averci a che fare di persona, direttamente. Stavolta, però, proverò a fregarmene del noto pezzo di Zerocalcare su “quando muore uno famoso”, e parlerò di Pippo Baudo, uno famoso, di famiglia, che in effetti è morto. Ora, dovessi star qui a dire che sono stato un cultore dei suoi programmi tv, quelli che hanno generato il termine nazionalpopolare, credo, suonerei poco credibile, anche se, forse in virtù di una diversa tv presente dentro le nostre televisioni quando in effetti mi confrontavo con una certa maggior laicità a questo elettrodomestico, credo di averne visti davvero tanti, e anche con una certa attenzione. Pippo Baudo era la Rai, i programmi del sabato sera, le Domeniche In, soprattutto, parlo con il punto di vista da adulto del critico musicale, il Festival di Sanremo. Presentatore di programmi di cui era orgogliosamente anche padre, direttore artistico, creatore, aveva in quel suo modo istituzionale di affrontare ogni situazione, egoriferito quanto basta per essere un personaggio riconoscibile, ma mai fuori dalle righe, volgare figurati, maleducato men che meno, la cifra maggiormente riconoscibile, distintiva. Incredibile scopritore di talenti, da Heather Parisi a Lorella Cuccarini, per dire, passando per tanti e tanti e tanti cantanti, Pausini e Giorgia, per fare due nomi che in questi giorni sono proprio per cifre tonde dei rispettivi esordi sotto i riflettori, Pippo Baudo e quel suo “questo l’ho scoperto io”, divenuto gag per bocca di Gigi Sabani, altra sua scoperta (seppur scoperta condivisa con Corrado), è stata una presenza fissa nelle case degli italiani per lungo tempo.
Le case degli italiani, quando oggi si sentono certi presentatori o giudici di talent parlare di “popolo italiano” o più genericamente di “italiani”, pensando ai numeri risicati dell’auditel, oggi che ci sono ormai almeno tre generazioni che la televisione neanche sanno cosa sia, viene quasi da mettersi a piangere, ma un tempo la televisione era davvero il focolare domestico, oggetto intorno al quale si riunivano famiglie e insiemi di famiglie per passare le ore di svago, a volte anche svago intelligente, coloro che si muovevano dentro quelle scatole tridimensionali, una lucetta posta da qualche parte lì intorno, magari sopra un centrino fatto a mano o un oggetto di quelli portati come ricordo da un parente in gita a Venezia o Firenze, avevano il compito di fare in qualche modo da guida, di tenere insieme nord e sud, classi basse, medie e alte, dare il proprio contributo alla costruzione di un comune sentire. È vero, suono retorico, e suono retorico perché sono retorico. Del resto è evidente che Pippo Baudo, come in precedenza era stato per Corrado, per Mike Bongiorno, per Alberto Sordi, più recentemente per Raffealla Carrà, è stato uno dei volti più seguiti e amati di una Italia che si rimetteva in piedi e premeva sull’acceleratore, lui nato nel giugno del 1936, come mio padre, e impossibilitato a invecchiare in televisione da una rete pubblica nel suo caso decisamente non altrettanto generosa nel ricambiare il suo spassionato e appassionato amore.
Certo, il nazionalpopolare, cioè quel gusto medio curato come fosse il solo verbo possibile da declinare, era giustamente considerato qualcosa da cui prendere le distanze, una sorta di medietà elevata con orgoglio a unico status possibile, invece che nascosta con vergogna malcelata, qualcosa su cui appoggiarsi invece che da provare a lasciarsi alle spalle, è stato a suo modo uno dei mali minori di una società che sarebbe passata con l’avvento delle televisioni commerciali dall’essere la nave guida di un paese alle prese col boom economico alla badante di un popolo da lobotomizzare a furia di contenuti vacui e valori effimeri, ma rispetto alla china che nel mentre abbiamo preso tutti noi, uso una prima persona plurale che bonariamente mi include in un mondo dal quale, come molti, vorrei solamente scappare, volgendo lo sguardo ai Fantastico di Pippo Baudo, ai Festival con Pippo Caruso a dirigere l’orchestra al suono di “perché Sanremo è Sanremo”, ai tanti altri programmi portati sempre con piglio sicuro e personale, l’abito elegante, la voce senza inflessioni dialettali, la scaletta sempre saldamente in mano, vien quasi da gridare al miracolo.
Metteteci poi anche quel tot di spensieratezza che il guardare al passato porta sempre con sé, forse più che spensieratezza, quella è la spensieratezza di quando eravamo appunto spensierati, dovrei dire malinconia per un passato spensierato che, bello o brutto che fosse, aveva decisamente i toni meno spigolosi di un oggi a base di guerre e pandemie, certo, ma anche di Grandi Fratelli Vip, di intrattenimento villano, di contenuti inutili trattati come fossero preziosissimi, bruttezza elevata al rango di unico canone estetico vigente, una medietà che, a furia di livellare verso il basso, ha raggiunto livelli che un tempo avremmo guardato con la spocchia con cui si guarda l’imbarazzante, non fosse che oggi ne siamo avvolti come in una sindone tutt’altro che sacra. Insomma, alle soglie degli ottantasette anni, se ne va anche Pippo Baudo, lui avrebbe detto di sé galantuomo che si è inventato certa televisione ormai a sua volta sparita dall’orizzonte. Come in una delle scene clou di Little Chicken, un altro pezzo del nostro cielo ci è caduto in testa, nella speranza che lo stordimento per questo colpo, come gli altri, ci ha procurato finisca per rimbecillirci del tutto, così da poter sopportare meglio la contemporaneità.