La qualità di un film, la sua cifra autoriale o l’originalità dell’idea non sono sempre sufficienti a tenerlo in sala. Questo non dipende solo dalla volontà degli esercenti: anche loro devono tener conto dei numeri e non possono sempre permettersi di tenere in programmazione un film che fa pochi numeri. Il problema è la capacità di comunicare e promuovere l’opera. In una parola, che forse da fastidio agli autori, è una questione di “marketing”: serve un marketing efficace per competere con Wonka, con Timothée Chalamet, i film Marvel o i grandi nomi come Woody Allen, solo per fare alcuni esempi. A rimetterci, però, è l’autorialità stessa, o almeno questa è la tesi di Emma Dante, regista del film Misericordia, che ha denunciato su Facebook il trattamento ricevuto dalla distribuzione: “Non ci dormo, non mi rassegno, dopo il primo week end le copie del mio film, Misericordia, sono state dimezzate”. “Troppo di nicchia”, è la sintesi dei molti commenti che leggiamo sotto al post: “Giuste o sbagliate sono le logiche del mercato. Se in sala vanno poche persone l’esercente lo toglie, a prescindere dal valore dell’opera”, scrive un utente. Eppure, Dante non riesce a considerarlo un trattamento accettabile: “Poiché, dopo il primo sabato e domenica il film non ha fatto i numeri che i distributori e gli esercenti si aspettavano, il giovedì successivo è stato programmato in una ventina di sale a orari improbabili, senza dare il tempo di creare un piccolo passaparola, di organizzarsi, di scegliere, di capire se lo programmavano al cinema vicino casa”. Non c’è stato tempo per il passaparola, dunque, lo stesso che ha salvato, in parte, La chimera di Alice Rohrwacher, uno dei film più ambiziosi (e costosi) del 2023. “Al momento, Misericordia resiste da più di una settimana in sole quattro sale in tutta Italia e credo che a breve sarà tumulato”, commenta ancora Emma Dante. Ma davvero con le tecnologie e i social dobbiamo rimanere fermi a uno “strumento” come il passaparola? Non è il caso di investire in creatività e promozione? Perché, piaccia o no, il trattamento riservato Misericordia non è l’eccezione, ma il normale svolgimento della vita di un film in sala.
Alcuni casi simili
Se analizziamo altri casi in cui, dopo un lasso di tempo simile (circa 3 settimane dall’uscita), l’opera è rimasta in poche sale, in Italia vediamo che il destino di Misericordia è condiviso da Limoni d’autunno, il film di Caterina Carone con Christian De Sica: uscito il 30 novembre, al 20 dicembre il film era rimasto in sole 4 sale. A questi aggiungiamo anche Diabolik – Chi sei? dei fratelli Manetti. Con un budget non da poco (circa 7 milioni), dopo 3 settimane il film era in programmazione in sole 9 sale. C’è poi Giorni felici di Simone Petralia, con Anna Galiena (già in Felicità di Micaela Ramazzotti) e Franco Nero, che dopo neanche due settimane di proiezione si è ritrovato con 1 sola sala disponibile.
La tendenza generale
E-Duesse.it riporta alcuni dati Cinetel (stilati per Box Office) in cui si sottolinea come i film medio-grandi, ovvero quelli distribuiti in più di 50 sale, dopo circa 6 settimane spariscano dalla programmazione del 90% dei cinema in cui erano presenti la prima settimana. Per i film più piccoli (meno di 50 sale) la situazione non è molto diversa: alla sesta settimana, infatti, la diminuzione della presenza nei cinema rispetto alla settimana di lancio è del 85%. Se consideriamo la decrescita veloce dei film citati (Misericordia, Limoni d’inverno, Diabolik – Chi sei? e Giorni felici), non possiamo non ricordare che, come sottolinea il sito CineGuru, da qualche anno la vita dei film in sala si è fatta più breve. Considerando il triennio 2014-2017, vediamo come gli incassi delle prime due settimane di proiezione abbiano inciso progressivamente di più: nel 2014 valevano in media circa il 71% del totale, mentre nel 2017 si arriva a circa il 74%. Inoltre, sottolinea l’autore Robert Bernocchi, nel 2017 i dieci film più forti raggiunsero il 49,9% dell’incasso totale nella prima settimana, mentre i corrispettivi dieci film del 2016 raggiungevano solo il 45%.
Le eccezioni, o quasi
In un meccanismo così suscettibile rispetto all’andamento del mercato, del favore del pubblico o del periodo di lancio le eccezioni rispetto alla tendenza generale sono quasi la regola. Per fare alcuni esempi: il più grande successo italiano del 2023 è stato senza dubbio C’è ancora domani di Paola Cortellesi che, dopo circa 6 settimane dal lancio, era ancora presente in 258 sale. Un altro film con buoni risultati è stato Cento domeniche di Antonio Albanese: anche in questo caso, alla quinta settimana era in proiezione in 35 sale. Ha fatto notizia, invece, la totale controtendenza del film La chimera di Alice Rohrwacher: l’opera, infatti, ha avuto un incremento del 76% degli incassi nella seconda settimana. Di fondamentale importanza è stato l’effetto passaparola unito allo “spot” della regista pubblicato su Instagram: in maniera molto semplice, la regista e il protagonista Josh O’Connor chiedevano agli utenti di andare nelle sale più vicine e domandare l’inserimento del film in programmazione. Come ricorda Il Post, il video pubblicato ha contribuito a rendere la pellicola appetibile al pubblico, il quale ha risposto con decisione. Sotto il post di Emma Dante su Facebook sono tantissimi gli utenti che evidenziano la necessità di una maggior attenzione alla promozione e al marketing. Fuori dall’Italia sembrano averlo capito, come dimostra la casa di produzione A24 e le sue campagne marketing “d’autore” (ne abbiamo parlato qui), ma nel nostro paese, forse, c’è qualcosa da migliorare. Inoltre, cosa c’è di meglio dei social per far girare la voce? Un aspetto che spesso ci spaventa ma che potrebbe essere usato a vantaggio delle opere minori. Basta saperlo fare.
Serve saperlo fare e serve investire. Il critico Gianni Canova ci ha confermato questo aspetto: “Le risorse del tax credit dovrebbero essere convogliate in distribuzione, promozione, marketing e comunicazione”. Posizione impopolare, quella di Canova, considerato soprattutto che le produzioni sopravvivono proprio grazie al credito d’imposta. Sopravvivono e si garantiscono anche il proprio margine. Che interesse hanno, poi, a occuparsi della permanenza in sala di certi film d’autore? E gli esercenti dei cinema come possono fare finta di niente rispetto alle poltroncine vuote? Devono tenere un film in programmazione solo per amore dell’arte? Un po’ egoista come atteggiamento. Ma non è il fatto di essere “d’autore” che impedisce a una pellicola di riscuotere successo: è l’incapacità di intercettare l’interesse del pubblico, di rendere un film “sexy”, come è lo stesso Canova a dirci. Occorre rendersi conto che non bastano (o non servono) decine di milioni di euro dedicati alla produzione per avere un riscontro dal grande pubblico. Saper comunicare se stessi, senza l’arroganza tipica degli intellettuali. Sporcandosi le mani con nuove necessità, con quei meccanismi dell’arte che puzzano di industria. Ma è meglio vedere i posti vuoti di fronte allo schermo? Noi abbiamo la nostra risposta.