C’è sempre qualcuno più forte. Pesce grande mangia pesce piccolo. C’è chi sfrutta l’affetto degli altri per i propri fini e chi, invece, si ostina a non lasciarsi andare alla bruttezza del mondo. I deboli, infine, vengono quasi dimenticati e retti in superfice dallo sforzo di pochi. In Felicità, il primo film da regista di Micaela Ramazzotti, la famiglia Mazzoni sintetizza tutte queste contraddizioni. C’è Desiré, interpretata proprio da Ramazzotti, che lavora da quando aveva sedici anni: fa la parrucchiera sui set cinematografici. Un mondo in cui, come risulta chiaro fin dalla prima scena, la violenza è all’ordine del giorno. La donna è legata a Bruno, interpretato da Sergio Rubini, professore universitario e intellettuale borghese insoddisfatto. L’uomo non sopporta la famiglia della compagna: i genitori sono dei retrogradi, il padre, impersonato da Max Tortora, additato come fascista. Quest’ultimo è uomo egoista, alla ricerca di una fama tardiva. Fa il presentatore su una rete televisiva sconosciuta, guadagnando poco o nulla. La madre (Anna Galiena) segue il marito in ogni sua posizione, appiattita sulla sua figura. I suoi momenti preferiti sono quelli in cui può costruire la vita del figlio Claudio (Matteo Olivetti): il ragazzo è fragile, la sua psiche instabile. Viene convinto dal padre a diventare Ncc e acquista una macchina indebitandosi con dei finanziatori criminali. Le rate sono tante da pagare e i soldi pochi. La garanzia del pagamento è firmata da Desiré, che subirà tutte le ripercussioni di un simile accordo. Ad ogni modo, Claudio inizia a lavorare. O almeno così sembra: dopo pochi mesi, viene trovato dalla sorella in coma a causa di un’overdose di psicofarmaci. Viene dunque ricoverato e gli viene diagnosticata la depressione. La madre, però, insiste: a suo figlio ci penserà lei. La terapia improvvisata, ovviamente, non funziona e il ragazzo peggiora visibilmente. Desiré decide che è il momento di affidarlo a una clinica. Una casa di cura privata molto costosa che lei stessa paga.
Claudio inizia un percorso lungo, in cui, almeno questo è quello che il film lascia intravedere, si lascerà i genitori alle spalle. Persone cattive, incapaci di comprendere la sua situazione e pronti a sfruttare ogni occasione per approfittarsi della figlia. Il padre la inganna, fingendo una malattia al cuore e un’imminente operazione per farsi prestare dei soldi. Quella di Desiré non è semplice ingenuità. Al contrario, è la consapevolezza di essere l’unica che può tenere insieme la famiglia. Felicità ha già ottenuto un importante riconoscimento al Festival di Venezia, il Premio degli spettatori nella categoria Orizzonti extra. La sua opera prima sembra un prolungamento del suo passato da attrice. Anche il punto di vista di Felicità è quello di una donna in cui coesistono fragilità e forza, determinazione e incertezza. Sembra voler dire le cose come stanno: la vita è questa ed è fatta di famiglie sbagliate, persone deboli che devono essere aiutate senza avere niente in cambio. Con un pizzico di speranza. La felicità è un esito che la protagonista non sembra ottenere del tutto. Il suo sguardo con cui si chiude il film non è quello di una donna che ha raggiunto la pace. Al contrario, sembra pronta a ripartire, ad avventurarsi di nuovo nei rovi della vita.
Desiré sa anche ridere, ha cognizione del suo potere sugli uomini (sul suo compagno in primis) e la sua debolezza, dovuta alla sua ignoranza, non la rende incapace di muoversi con decisione e prendere scelte pesanti. Tiene alla famiglia così tanto da far finta di non vedere malignità che la caratterizza. Perché i genitori sono degli ingrati, gretti ed egoisti. Certe volte anche la propria famiglia va rinnegata per andare avanti. L’unico che davvero riconosce il valore della sorella è il fratello, che tra mille problemi riesce a rialzare la testa. “Sono riuscito a prenderlo il treno”, dice alla sorella nel finale. Stavolta ci è salito, dopo tutti i treni che si era fatto sfuggire, come gli ricordava suo padre. Micaela Ramazzotti ci ricorda che quello che facciamo per gli altri è una donazione, un investimento a fondo perduto. Ciò che conta è non sentirsi sbagliati: perché spesso è il mondo che ci fa sentire fuori posto. Allora dobbiamo lottare e scegliere le persone che vogliamo tenere intorno a noi. Senza dimenticarci di ridere, perché nessun sorriso ci verrà mai regalato. Senza la paura di piangere perché, in fondo, non siamo costretti a perdonare il mondo.