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The Bluemood e il sold-out al Blue Note di Milano: “Non possiamo rinunciare al blues”. E su un nuovo album…

  • di Emiliano Raffo Emiliano Raffo

22 settembre 2023

The Bluemood e il sold-out al Blue Note di Milano: “Non possiamo rinunciare al blues”. E su un nuovo album…
Al Blue Note di Milano è andato in scena un concerto che ha ripercorso la storia del blues. Prima che iniziasse abbiamo incontrato, al bistrot di Volvo Studio Milano, Michele Crisci e Bob Lonardi dei Bluemood. Si è parlato di amicizia (“la band di Zucchero ci ha fatto sentire in famiglia, Kat è una chitarrista incredibile che continua a ispirarci e motivarci”), di influenze (“dai Queen ai Led Zeppelin, passando per il funk”), di blues (“non ci interessa il copia-incolla dei classici. Chi ascolta la nostra versione di “The thrill is gone” deve percepire il nostro stile”). Siamo nel cuore della nuova Milano, a pochi metri dal Bosco Verticale e dalla sede dell’Inter targata Suning, ma si respira passione: “Il nostro è un blues viscerale e pieno di soul. Nulla di troppo levigato”

di Emiliano Raffo Emiliano Raffo

Mercoledì sera il Blue Note di Milano era sold-out. Due nomi, un solo concerto. The Bluemood da una parte, Kat Dyson dall’altra. Straordinariamente forte il punto di convergenza: la Storia del blues. Il blues inteso come viaggio da vivere e narrare, appassionatamente. Abbiamo incontrato i Bluemood e Kat Dyson al bistro del Volvo Studio Milano. Per Volvo lavorano Michele Crisci (voce e chitarra ritmica) e Bob Lonardi (chitarra elettrica “e talvolta slide”) dei Bluemood (completano la formazione: Francesco Bettelli, piano e organo; Manuel Maddè, batteria; Piero Grassi, basso. Collabora con il gruppo anche la cantante Eleonora Oriolo). Crisci è managing director e presidente di Volvo Car Italia, Lonardi public relations & corporate communication manager della stessa azienda. Siamo a pochi metri dalla sede dell’Inter targata Suning. Un palazzo a specchio che domina sulla nuova Milano. Si può anche ammirare, dalla parte opposta, il Bosco Verticale. Motivo dell’incontro? Un anniversario speciale. “Questa estate abbiamo fatto 10 anni di carriera e per festeggiare il compleanno della band abbiamo chiesto a Kat un regalo: fare qualche data dal vivo con noi” (ieri a Milano, dicevamo; qualche sera fa al Teatro Ristori di Verona, nda).

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Michele Crisci

Dieci anni di Bluemood per un’amicizia, quella fra te e Bob, di lunga durata. Come è nata?

Crisci: Ci siamo conosciuti durante una trasmissione di una tv privata bolognese, in occasione di una vecchia edizione del Motorshow. Doveva essere il 2000. Sul finire del 1999 Bob entra in Volvo. Io lo seguo l’anno successivo. E sai qual è la cosa curiosa? Che pur avendo tanto in comune dal punto di vista lavorativo, in occasione del nostro primo incontro furono sufficienti trenta minuti perché finissimo a parlare di musica. Di blues, precisamente.

Il blues, il vostro demone buono, la vostra incontenibile passione. Ma quale blues?

Crisci: Domanda delicata. Io e Bob nel 2007 cominciamo a suonare assieme. Il nostro primo gruppo si chiama Chilometri Zero. Band totalmente amatoriale, nata un po’ per gioco. Zero pretese, appunto, ma con la voglia di fare insieme qualcosa di interessante. Una prima bozza della nostra idea di blues, però, c’è già. Veniamo tutti da differenti contesti musicali. Il mio gruppo preferito sono i Queen, Bob è un fan dei Led Zeppelin e al nostro pianista, di formazione jazz, piace molto improvvisare. A Manuel, il batterista, piace il funk. La nostra idea, negli anni, è diventata quella di forgiare un nostro stile personale, che tenesse conto del gusto di tutti, centrato comunque sul blues. Quando facciamo “The thrill is gone”, non proponiamo un fedele copia-incolla dell’originale di B.B. King. Chi ci ascolta deve ascoltare i Bluemood, il nostro stile. Il nostro tocco. Una voce nuova, se vogliamo, che contribuisca a quella conversazione corale che è la musica.

Fateci un altro esempio di questa mediazione creativa di cui siete protagonisti.

Crisci: Prendi Gary Clark Jr. Bluesman fantastico, giovane, aggressivo. Fa una versione di “Come together”, di grande impatto, che è anche finita nella colonna sonora di “Justice league”. Quasi metal. Se suoniamo una versione di “Come together”, noi suoniamo quella di Clark, perché permette a Bob di esprimere la propria natura hard-rock. Ancora, prendi quel classico indistruttibile che è “I don’t need no doctor”: la versione che abbiamo scelto di quel brano è quella di Paul Personne, bluesman francese che inietta nel pezzo il germe del funk. Quando qualcuno ascolta un classico fatto da noi, deve comunque sentire noi.

Lonardi: Il nostro è un blues viscerale, pieno di soul e passione. Non è quel blues estetizzante, molto levigato, che forse neppure saremmo in grado di suonare. Siamo grezzi, sanguigni. È l’elemento soul della nostra musica a rendere il tutto più dinamico e coinvolgente.

Avete sviluppato un modus operandi quando vi ritrovate in studio?

Crisci: La band ci impone tanti compromessi. Suoniamo insieme una sola volta al mese, a Monza. A parte tre elementi che fanno base a Milano, il progetto Bluemood raccoglie persone che vivono a Verona, Bologna, o addirittura in Francia, vicino a Marsiglia. Quando ci ritroviamo facciamo delle tirate pazzesche – suoniamo anche 12 ore filate – perché le sessioni di quel giorno ci devono “bastare” per i successivi 30 giorni. La musica ci tiene insieme, prepotentemente. Centinaia di chilometri di distanza, e vite private e lavorative di ogni tipo, non ci separano. Il primo luglio, l’anno scorso, a Klam (Austria), abbiamo suonato in mezzo a una tempesta di pioggia. Bagnati fradici, lontani da casa, con il richiamo prepotente del lavoro. Il giorno seguente, in azienda, avrei dovuto incontrare una serie di persone per discutere di finanze, statistiche, proiezioni. Ebbene, quella mattina mi sono divorato duemila chilometri e mi sono presentato agli appuntamenti lavato e stirato, impeccabile. Non oso pensare se avessi bucato. Ma non avrei mai potuto rinunciare al blues. Perché lo sentiamo nel cuore.

Bob Lonardi
Bob Lonardi

Credete che sia proprio questo vostro approccio al blues ad aver attirato l’attenzione di Zucchero?

Lonardi: Il management di Zucchero ci ascoltò in occasione di un concerto a Bologna. Alla fine ci dissero: ma voi fate sul serio! Furono la nostra energia e la nostra passione, credo, a convincerli. Da quel momento la band di Zucchero, in primis Kat (Kat Dyson suona con Zucchero, dal vivo, dal 2007, nda), ci ha fatto sentire i nuovi membri di una grande famiglia. Questo ci ha motivato in modo incredibile.

Crisci: Per noi è stata una scuola. Una scuola di vita, prima ancora che artistica. Tutti, dico tutti, in quel gruppo ci hanno accolto a braccia aperte. E parliamo di una band paurosa, ce ne sono pochissime che suonano come loro oggi in Europa. Ti entrano nel cuore e nelle gambe, ti rapiscono. E la cosa incredibile, umanamente preziosa, è che non ci hanno mai fatto sentire piccoli, accanto a loro. Un’esperienza da cui abbiamo tratto un sommo insegnamento: con chiunque tu abbia a che fare, trattalo con dignità e rispetto. Alla fine siamo tutti uguali, c’è poco da fare. La prima volta che abbiamo aperto per loro, all’Arena di Verona, tremavamo come foglie. Loro erano completamente rilassati. Ci troviamo tutti nel backstage, a un certo punto arriva il momento in cui dobbiamo salire sul palco, siamo agitati. Kat e compagnia, invece? Sono lì, tranquilli, a darci parole di sostegno. A proteggerci, in un certo senso.

Lonardi: Abbiamo trasformato questo dono ricevuto da loro in una sfida per migliorarci. Per meritarci il credito che ci hanno dato. L’incontro con la band di Zucchero ha cambiato tutto. In particolare l’incontro con Kat, che risale al 2016, a Pontremoli, durante le prove nella tenuta di Sugar. Quel giorno è nata una splendida amicizia che continua ad ispirarci.

Crisci: Un giorno la chiudemmo in auto con noi (ride, nda) per farle ascoltare la nostra musica. Beh, le è piaciuta.

Quando una band vibra di tanto entusiasmo è lecito attendersi qualche novità. Un nuovo album, magari?

Lonardi: Vorremmo pubblicare cinque o sei pezzi tratti dai concerti di questi ultimi giorni. L’idea potrebbe essere quella di un EP (un extended play: più di un singolo, meno di un album, nda). Ci piacerebbe anche lavorare a un disco più soul, registrato in presa diretta.

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