Prendete una serie o un film Netflix: mettete la stessa sigla (ta-dumm), gli stessi attori, la stessa fotografia e cucitele insieme a storie, almeno quelle, diverse l’una dall’altra. Bene, ora prendete tutto questo e dimenticatevelo. A24 ha una politica, una linea editoriale ben precisa: fiducia ai registi. “Confidence”, direbbero gli americani. Affidarsi alle capacità degli autori di creare contenuti riconoscibili, efficaci, adatti a grande pubblico ma rivolti principalmente a una nicchia di spettatori, stanchi di sottostare alle stringenti regole dell’abbonamento senza avere in cambio quello che vogliono. Disposti a pagare, sia ben chiaro, ma per qualcosa di più di semplice fast-food audiovisivo. A24 parla agli appassionati, ai cinefili, agli amanti del cinema indipendente che sempre meno ritrovano ciò di cui sono innamorati sul grande schermo. Marvel, mega-produzioni à là Barbienheimer e poco altro. Intendiamoci, le ultime opere di Greta Gerwig e Christopher Nolan valgono il prezzo del biglietto e tutto l’hype che si sta creando. Il problema è che l’industria cinematografica non può basarsi solamente sul successo meteorico di grandi film come questi. Serve costanza e serve, soprattutto, affinare un nuovo metodo per riportare questi benedettissimi spettatori nelle sale e nei festival. Le grandi star, come sempre, aiutano nel fungere da traino per gli incassi delle case produttrici. Certo, anche A24 ha co-prodotto per la televisione Euphoria, con Zendaya, Sydney Sweeney e Angus Cloud, morto il 31 luglio scorso a soli 25 anni, e The Idol, con protagonisti Lily-Rose Depp e The Weeknd. Contenuti che “sapevano di piacere” prima ancora di essere lanciati. Ciò non vuol dire, però, rinunciare a fare film con attori emergenti o con registi non così noti, anzi. Film o serie più “vendibili” per A24 sono l’apripista, gli spazzaneve che rendono libero il passaggio per una colonna di autori che vogliono sperimentare, dire quello che vogliono nel modo che preferiscono. Ambiziosi e carichi di stile. Gli esempi più chiari sono forse Ari Aster e Robert Eggers, due nomi ormai cardinali nel cinema horror contemporaneo. Aster è stato alla guida di Beau ha paura (tratto da un cortometraggio del 2011 diretto dello stesso regista), con protagonista uno schizofrenico Joaquin Phoenix, in di uno dei film più ambiziosi tra le produzioni A24: è stato infatti il film con il budget più alto della storia dell’azienda. Eggers, dal canto suo, non ha rinunciato alle atmosfere dell’horror in bianco e nero nel crudo The Lighthouse, con due folli prometeici William Defoe (ogni aggettivo per descrivere Willy è superfluo, che gli vuoi dì) e Robert Pattinson, da anni stabile su alti livelli. Lo ricordiamo, per esempio, al fianco di Mia Goth in High Life di Claire Denis, anche questo distribuito da A24.
I prodotti della nuova, si fa per dire visto che è nata nel 2012, casa produttrice newyorkese sono unici nel loro genere. Così diversi tra loro che sembra difficile tenerli sotto l’ombrello di un’unica produzione: si riconosce un film A24 proprio perché non ha niente in comune con nessun’altro di quelli in catalogo. Il successo si gioca su questo paradosso. I risultati sembrano dare ragione ai tre fondatori Daniel Katz, David Fenkel e Jhon Hodges (quest’ultimo uscito dalla casa produttrice nel 2018), a loro volta amanti del cinema d’arte. Agli ultimi Oscar il film Everything Everywhere All At Once dei Daniels ha sbancato: 7 statuette tra cui miglior attrice protagonista, Michelle Yeoh. Erano 95 anni che una casa di produzione indipendente non vinceva le 4 categorie attoriali, oltre a quella per miglior film e miglior regista. Solo oggi, dunque, è diventata così nitida la differenza tra A24 e le altre produzioni. Ma non è certo stato il 2023 l’unico anno trionfale. Anche l’anno scorso la casa newyorkese aveva fatto un’ottima figura con The Whale di Darren Aronofsky, uno dei migliori film dell’anno, indipendentemente dalla statuetta a Brendan Fraser, peraltro più che meritata. Moonlight di Barry Jenkins, la prima produzione originale A24, nel 2016 aveva portato a casa 3 statuette: miglior film, miglior sceneggiatura non originale e miglio attore non protagonista con Mahershala Ali. Insomma, non sorprende più vedere scalzate le Big Five dai piedistalli più preziosi della notte delle stelle. Ma, come detto, A24 non può essere valutata solo in funzione dei successi garantiti dal riconoscimento dell’Academy.
Ciò che dall’inizio distinse il modo di fare di A24 era l’originalità delle campagne promozionali. Nel 2015, durante il periodo del SXSW festival ad Austin in Texas, a qualcuno è capitato, scorrendo su Tinder, di imbattersi nel profilo di tale Ava, una ragazza di 25 anni. Tutto normale. Più o meno. In realtà Ava non era umana, ma un robot e anche molto curioso: cos’è l’amore? Cosa rende una persona umana? Domande esistenziali poste a chi cercava una semplice scop*ta. Invece, dopo qualche scambio di opinioni, si veniva indirizzati sulla pagina Instagram di EX-Machina il film di debutto del regista Alex Garland. Sulla pagina si trovavano solo due post: uno con la data di uscita e l’altro con una clip del film. Ovviamente, la trovata è diventata virale. Non è l’unico esempio di “marketing d’autore”. Ghost Story, film del 2017 con protagonisti Casey Affleck e Rooney Mara, ha coinvolto nella promozione gli abitanti di New York organizzando in varie parti della città dei mini-set in cui i chiunque poteva mascherarsi da fantasma e parlare del suo passato, delle sue ferite e delle sue memorie. Rendere attori, anche solo per qualche minuto, i futuri spettatori. Prima del film siamo già dentro il film. C’è poi il merchandising con cui far contenti i collezionisti di reliquie, coloro che vogliono rendere esplicito il loro amore per un’opera. Sembra non esserci soluzione di continuità tra produzione, promozione e visione. A24 vuole creare per ogni contenuto un universo, una cornice di simboli e rimandi che mira a rendere totale la realizzazione di ogni opera. Una totalità che i grandi cineasti hanno spesso ricercato (Kubrick, per esempio, curava ogni singolo aspetto della costruzione dei suoi film). I mezzi dell’azienda messi al servizio di una creatività senza tabù, alla ricerca di impressioni nuove. Così, infatti, si era espresso Jenkins, il regista del già citato Moonlight, in un’intervista per GQ: A24 non si interessa del “tema” di un film, piuttosto si concentra su ciò che l’esperienza della visione porterà con sé. Ricerca di emozioni non di manifesti. O quantomeno, i secondi devono essere subordinati alle prime.
Come detto, però, la forza di A24 sta, soprattutto, nello stuzzicare quella fascia ristretta di appassionati del cinema indipendente, a cavallo tra i cinefili e i fruitori onnivori. Non a caso, nel 2018 l’azienda ha acquistato i diritti di Climax di Gaspar Noè, mentre quest’anno si è aggiudicata quelli di PI (nel marzo del 2023 si festeggiavano i 25 anni dall’uscita), la prima delirante opera di Aronofsky. Due registi perfettamente in equilibrio tra un cinema d’autore “puro” e uno aperto alle più svariate categorie di utenti. Marco Montemagno ha sintetizzato in un reel su Instagram la strategia di A24: puntare al 5% degli spettatori. Suscitare l’interesse di un ristretto gruppo di persone, le quali contribuiranno a contagiare gli altri, amici e parenti che di cinema si interessano solo dalle 21 alle 23 della domenica sera, espandendo a macchia d’olio la popolarità dei contenuti della casa produttrice. Perché ci fa sentire intelligenti parlare di qualcosa che abbiamo visto solo noi oppure spiegare il sottosuolo filosofico di un’opera che riteniamo essere solo all’apparenza semplice. Piace a tutti quando chi ci sta intorno tace mentre stendiamo sul tavolo i nostri pensieri. Come diceva quel gruppo di comici: “Tutta la storia del sapere universale, in fondo, è anche per scopà”. Mai massima fu più vera. Saper direzionare la propria idea di cinema, renderla comprensibile e unica. A24 fa tutto questo. Lo fa, però, mantenendosi rigida su un punto, unico caposaldo fin dalle origini. Fin da quando Daniel Katz diede il nome all’azienda, mentre guidava sull’omomina autostrada italiana che attraversa i luoghi che furono i set di molti film neorealisti. Al centro ci sono l’autore e la sua libertà, la vera dinamo che mette in moto l’energia che attraversa il pubblico. Una misteriosa alchimia che, si spera, ci riporterà numerosi nel buio della sala.