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Ok, ma cos’è, com’è e di cosa parla “Everything everywhere all at once”, il film che ha sbancato agli Oscar?

  • di Grazia Sambruna Grazia Sambruna

Ok, ma cos’è, com’è e di cosa parla “Everything everywhere all at once”, il film che ha sbancato agli Oscar?
Un'orgia di immagini e sensazioni dove è impossibile non continuare a godere, nemmeno una volta usciti dal cinema. “Everything everywhere all at once”, vincitore di sette Oscar, è il film dell'anno (e noi ve lo avevamo detto mesi fa). Prodotto dai fratelli Russo, registi dei più inflazionati lungometraggi Marvel, questo capolavoro è il vero Vendicatore di Multiversi, fantascienza e tutto il cucuzzaro annesso. Ogni cosa, ovunque, tutto in una volta. Sempre in direzione bizzarra e contraria

di Grazia Sambruna Grazia Sambruna

A ottobre lo avevamo definito "il film dell’anno" e ora Everything Everywhere All at Once ha sbancato alla notte degli Oscar: miglior film, miglior attrice (Michelle Yeoh), migliori registi e migliore sceneggiatura originale (Daniel Kwan e Daniel Schenert), e poi miglior editing, miglior attrice non protagonista (Jamie Lee Curtis) e miglior attore non protagonista (Ke Huy Quan), dopo essere arrivato agli Academy Awards con undici nomination.

Ogni cosa, ovunque, tutto in una volta. Il film dell'anno ha un titolo adattabilissimo a un porno. Però fa godere molto di più. Distribuito in Italia da I Wonder e nelle sale del resto del mondo da un bel pezzo, Everything Everywhere all at once è totalmente fuori di testa, schizoide e improbabile. Lo paragonano a Matrix. E sbagliano. Perché, citazioni a parte, è molto di più. Dalle entusiastiche recensioni, si legge che sia una storia sul Multiverso. Vero, ma ancora troppo poco per descrivere questo capolavoro nella sua totalità. Anche perché il "Multiverso" è un concetto di cui oramai sappiamo spaventosamente troppo, soprattutto per via degli sciagurati "cinepanettoni" Marvel che ce lo glassano di semplificazioni ed effettoni ad lib. Non avete mai visto qualcosa del genere. Non è nemmeno possibile attribuirgli un genere. Everything Everywhere all at once cambia rotta, cambia stile, scopre il bagel bisestile. E mostra con ogni evidenza quanto sia volgare l'annaspare della sempre borghese casa Marvel. Chi dobbiamo ringraziare? Che ci crediate o meno, anche i Fratelli Russo.

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Anthony e Joe Russo, registi di Avengers: Endgame e molti altri blockbuster di siffatta milionaria sorta, qui compaiono nelle vesti di producer. Adottando una precisa strategia Francesca Pascale che dalla sua lunga unione con Silvio Berlusconi ha messo in saccoccia abbastanza da potersi dedicare a cause più nobili tipo convolare a nozze con Paola Turci e finanziare immense piantagioni di marijuana, così i due Bros nel corso degli anni hanno intascato il più possibile tappandosi il naso in casa Marvel. E ora, fors'anche per detergersi la coscienza, hanno reso possibile questo capolavoro di acqua micellare finora impensabile e infatti impensato sulla nostra stessa linea temporale. "What a time to be alive", esclamerebbe l'intero universo memetico. All at once. 

A sceneggiatura e regia, troviamo i "Daniels" (al secolo Daniel Kwan e Daniel Scheinert), già orogoliosi papà di Swiss Army Man (2016), ossia il film che ha per co-protagonista Harry Potter (Daniel Radcliffe) nell'intenso ruolo di un cadavere. Dall'inizio alla fine. Gente stramba, anzichenò. Che a sto giro, però, ha fatto il colpaccio. Di cosa parla Everything Everywhere all at once? Beh, cominciamo dalle tasse. 

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Evelyn Wang non è She Hulk. E nemmeno un drago con la contabilità. Anche per questo, la lavanderia a gettoni di cui è proprietaria insieme all'inetto marito Waymond è sull'orlo del fallimento. Come il suo matrimonio e il rapporto con la figlia Joy (che la detesta). Dalle premesse, potrebbe sembrare la trama di un qualunque film di Muccino, ma non lo è nemmeno per un secondo. Una certa luccicanza traspare cristallina fin dalle prime scene che ci conducono al ripostiglio di una pigra ma zelante agenzia delle entrate, dove la verità verrà pian piano disvelata. Inizialmente, a colpi di marsupio e kung fu.  

Il superpotere della protagonista, sulla cinquantina, è quello di essere "incapace a tutto" e, dunque, ognuno dei suoi - tantissimi - progetti falliti nel corso della vita, hanno permesso alle altre versioni di se stessa di proliferare negli infiniti universi paralleli che proprio lei ha scoperto in quello in cui fa la cyber-scienziata. In qualsiasi momento, può accedere alle diverse skill che padroneggia nei mondi contingenti. Per riuscirci, deve solo fare la cosa più stupida che le possa venire in mente sul momento, con gli oggetti e le persone che si ritrova intorno: ingoiara una rana di porcellana, infilare un dildo dentro qualcheduno, mangiare un tubetto di burrocacao. Sempre che le sue dita non si siano già trasformate in giganteschi hot dog. L'intrinseca idiozia dei superpoteri non era mai stata indagata così a fondo. E non potremmo esserne più grati. 

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In un mondo che in realtà ne contiene altre centinaia tutti nello stesso momento, le storyline possibili sono infinite. Quelle scelte - tante, reggono tutte alla perfezione. Poteva essere una boiata demenziale, alle volte ne assume i contorni facendo saltaversare dal ridere, e invece il film non si accontenta di così poco. Pigia sull'acceleratore, lo strappa via a morsi e diventa quello che avrebbe dovuto essere la trasposizione cinematografica di Guida Galattica per Autostoppisti o comunque qualcosa di cui il buon Douglas Adams si sarebbe di certo compiaciuto. Addio e grazie per tutto il pesce. 

C'è il tentativo di un ricongiungimento famigliare sulla carta impossibile a fare da fil rouge, come anche il disperato e brutale bisogno d'affetto delle "persone poco amabili", cieche a qualsiasi gentilezza che arriva dall'esterno perché capaci solo di vedere l'assoluta imbecillità di chi le circonda. Solitudine, depressione, procioni gourmet, kung fu, cosplay pazzoidi e bagel oscuri pronti a risucchiare tutto perché, in fin dei conti, niente è davvero importante. Non sentirete mai pronunciare una frase così efficaciemente romantica riguardo a tasse e lavatrici. Portate i fazzoletti in sala. 

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Nonostante il fatto che nulla abbia un senso - proprio come nella vita, Everything everywhere all at once riconcilia con l'esistenza portando lo spettatore a spasso, di follia in follia, in un viaggio che ve lo buca il Marvel Cinematic Universe. Apparentemente c'è troppo, essenzialmente c'è tutto. Impossibile non perdersi e poi ritrovarsi in questo capolavoro surreale e dolcemente bislacco, dalla conclusione per nulla scontata. Non lasciamo che resti una chicca per pochi. I film del genere, di qualunque genere siano, sono rari. E quindi preziosissimi. Ci rimarrete di sasso (anche letteralmente).

Tra pillola rossa e pillola blu, invitiamo quindi a scegliere il ripostiglio. Dove quanto raccontato finora dalla stanca narrazione action/fantascientifica viene masticato, digerito e ruttato dritto in faccia a casa Marvel in un atto poderoso, liberatorio, anzi di più: necessario. Non esiste bagel succhia-tutto che possa fermare la creatività individuale e impedire di rendere giustizia all'arte. Perché anche il cinema non può essere solo la copia, di una copia, di una copia, di una copia... finendo per diventare una stanchissima serie di blockbuster-Tyler Durden. Everything everywhere all at once va dove si deve andare per creare davvero nuovi mondi possibili, ossia sempre in direzione bizzarra e contraria. Fight club. 

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