In una mappa scolorita, sopra un tavolo di legno macchiato di vino e patatine, la Kamchatka è solo quell’angolo sperduto di Risiko che ti permette di buttarti in Alaska e ribaltare la partita con un attacco improbabile. Nel gioco, come nella vita, la sua posizione è estremamente strategica: durante la Guerra Fredda ospitava radar e sottomarini nucleari puntati sugli Stati Uniti. Oggi non è più l’epicentro della geopolitica, ma resta una frontiera che pesa: un luogo che osservi da lontano, convinto che sia il nulla, finché la terra non decide di tremare e il “nulla” diventa notizia globale. È un pezzo di mondo che vive al limite, un luogo dove la terra fuma, trema, ribolle, e quando decide di farsi sentire, come la notte del 30 luglio con un terremoto di magnitudo 8.8, lo fa con la potenza primordiale di un pianeta che ricorda a tutti chi comanda. La Kamchatka è un dito di terra lungo 1.200 chilometri, incastrato tra l’Oceano Pacifico e il Mare di Ochotsk, così lontano da Mosca che ci vogliono otto ore di volo per arrivarci. Nessuna strada la collega al resto della Russia. Non ci sono autostrade, né ferrovie: solo vulcani attivi, geyser, orsi bruni che superano in numero gli esseri umani e paesaggi che sembrano scenografie di un film post-apocalittico. Per decenni è stata chiusa al mondo, base militare segreta durante la Guerra Fredda. Ora prova a mostrarsi ai turisti più coraggiosi, ma resta un posto dove la natura comanda e l’uomo obbedisce.

La penisola è un museo a cielo aperto di geologia estrema: oltre 160 vulcani, 30 ancora attivi, il più imponente dei quali, il Klyuchevskaya Sopka, continua a sputare lava. È patrimonio UNESCO, ma anche una delle aree più sismiche del mondo, parte dell’Anello di Fuoco del Pacifico. Quando la terra si scuote qui, come è successo poco fa, le onde arrivano a minacciare non solo la costa russa, ma anche il Giappone, le Hawaii e persino la California. Il terremoto, registrato con una potenza devastante, ha generato onde di tsunami alte fino a tre metri in alcune zone del Pacifico settentrionale. Le autorità giapponesi hanno fatto scattare l’allarme immediato: evacuazioni lampo, sirene lungo la costa, treni sospesi e pescatori richiamati in porto. Anche alle Hawaii sono scattati i protocolli d’emergenza, mentre sulla costa russa si è temuto il peggio per alcuni villaggi di pescatori. Fortunatamente, l’onda lunga ha perso potenza prima di fare danni gravi, ma la paura è stata globale. Un click geologico in Kamchatka e mezzo mondo trattiene il fiato: basta questo per capire quanto quella “pedina” sia tutt’altro che secondaria. Per la maggior parte del tempo la Kamchatka rimane silenziosa, selvaggia, ai margini. Poi un giorno trema, scatena tsunami, spaventa mezzo Pacifico e costringe il mondo a ricordarsi che lì, su quella pedina dimenticata del Risiko, la natura è ancora libera di fare ciò che vuole. Non è solo un posto sulla mappa, è la prova che l’umanità può illudersi di avere il controllo, ma la Terra, soprattutto in Kamchatka, non ha mai firmato quell’accordo.
