Con la destra insediata a Roma, al governo e in Regione Lazio, l’ombra dell’estrema destra romana si proietta sui palazzi capitolini. E non la sagoma di uno qualsiasi, ma quella di Massimo Carminati, il “Ciecato”, il “Nero”, l’ex membro di idee neofasciste della banda della Magliana, nonché figura-chiave del “Mondo di mezzo” scoperchiato dalle inchieste giudiziarie. È il suo, il nome che risalta sullo sfondo di altri che emergono o bordeggiano nell’ascesa al potere nella Capitale. Lirio Abbate, su Repubblica di oggi, traccia un quadro che a partire da Carminati si dirama in varie direzioni. Ci sono i Gramazio: il padre, Domenico, personaggio storico del fu Movimento Sociale Italiano e in passato frequentatore di Carminati, e il figlio, Luca, consigliere comunale e regionale poi, accusato di essersi posto al servizio del “Nero”: entrambi condannati in via definitiva, hanno sostenuto con appelli al voto quel che oggi è il presidente della Regione Lazio, Francesco Rocca. C’è Marco Mattei, ex assessore regionale quando governatrice era Renata Polverini, che si era visto due volte con Carminati, e ora è capo della segreteria del ministro della Salute, Orazio Schillaci. Si cita anche l’ex direttore del quotidiano Il Tempo, ora in pole position per la direzione del Tg1 Gian Marco Chiocci, che si era incontrato con Carminati, era stato indagato ma la sua posizione fu archiviata, in quanto il “Ciecato” era solo una delle sue fonti giornalistiche.
Ma soprattutto c’è Luigi Ciavardini, vecchio camerata di Carminati nei Nar, i Nuclei Armati Rivoluzionari, fondati nel 1977 a Roma dai fratelli Valerio e Cristiano Fioravanti e da Alessandro Alibrandi, figlio del giudice Antonio Alibrandi. Ciavardini ha una condanna definitiva come terrorista per la strage di Bologna del 2 agosto 1980 e per l’omicidio del poliziotto Francesco Evangelista e del magistrato Mario Amato, che era succeduto a Vittorio Occorsio, ammazzato dal neofascista Pierluigi Concutelli, nelle indagini sui rapporti fra P2, apparati dello Stato ed eversione “nera”. Come ha messo in luce in più servizi la trasmissione Report di Sigfrido Ranucci, Ciavardini e la moglie, Germana De Angelis, hanno dato vita all’associazione Gruppo Idee, attiva nelle carceri, in particolare di Frosinone e Rebibbia, con iniziative a favore dei detenuti per le quali godono di finanziamenti pubblici. È così che Ciavardini ha conosciuto la parlamentare meloniana Chiara Colosimo, che potrebbe diventare presidente della Commissione Antimafia. Un contatto che non è passato inosservato ai familiari delle vittime di mafia e terrorismo, che si sono lamentate per tali “frequentazioni”.
A mancare in lista è però un nominativo che fa direttamente parte del governo di Giorgia Meloni, e che anche lui deve avere avuto un link con Ciavardini. Si tratta del sottosegretario all’Ambiente, Claudio Barbaro. Un passato nell’Msi e Alleanza Nazionale, è stato leghista fino al 2020, quando, rivestendo l’incarico di presidente dell’Asi, l’associazione sportiva da sempre orientata a destra, lasciò il partito di Matteo Salvini “in disaccordo per lo stravolgimento dell'assetto economico ed organizzativo dello Sport italiano”. Nel 2010, secondo Report (8 maggio 2023), Barbaro assunse come archivista e centralinista nell’Asi proprio Ciavardini, che ottenne la semi-libertà. Ma proprio in quell’anno, una segnalazione del Ros dei Carabinieri arrivò sul tavolo dei magistrati romani: si ipotizzava un’associazione a delinquere, finalizzata alla rapina per autofinanziamento, da parte di elementi della destra estrema romana fra cui appunto Ciavardini e altri due volti già noti alla giustizia, ovvero Matteo Costacurta, allora pregiudicato e oggi imputato con l’accusa di essere stato un killer al soldo della mafia albanese, e Carlo Gentile, pure lui con precedenti, attualmente nelle patrie galere con due omicidi sul groppone. Barbaro, raggiunto dai microfoni di Report durante un convegno, si è rifiutato di rispondere a qualunque domanda sul lavoro assegnato a Ciavardini.
La reticenza è, o dovrebbe essere, inammissibile per qualsiasi rappresentante delle istituzioni. A maggior ragione se da parte di un esponente del governo in carica. Anche perché, dall’ambiente (e dalla “sicurezza energetica”, come recita la dicitura completa del Ministero in cui Barbaro ricopre il ruolo di sottosegretario) passano, e soprattutto passeranno, in tempi di Pnrr, i via libera a operazioni, appalti, commesse e consulenze su cui sono puntati gli occhi dell’Europa, oltre che, sperabilmente, dell’opinione pubblica di casa nostra. Un sottosegretario non può permettersi di eludere legittime domande semplicemente negandosi. Non perché vi sia un obbligo di risposta, ma perché sussiste un dovere di trasparenza. Oggi, sui rapporti con l’ex terrorista nero Ciavardini; domani, magari, su eventuali opacità future che potrebbero riguardare un settore, quello degli investimenti ambientali, ad altissimo tasso di infiltrazioni criminali. Chi sta sopra in linea diretta a Barbaro, e cioè il ministro Gilberto Pichetto Fratin, dovrebbe sentire l’opportunità, quanto meno, di avere come suo secondo un politico che non scappi dagli interrogativi sul proprio operato degli anni precedenti. Altrimenti i dubbi sorgono anche su di lui, il ministro silente sul sottosegretario sfuggente.