Sull’inchiesta giudiziaria relativa al crollo del Ponte Morandi si è scritto e detto molto. Soprattutto, si è parlato della concessione di quel tratto ad Autostrade per l’Italia, la società che faceva capo alla holding finanziaria Atlantia, il cui socio di riferimento è la famiglia Benetton. La tragedia avvenuta il 14 agosto 2018 è stata descritta come il peggior disastro nella storia dei trasporti italiani, costato la vita a 43 persone e che ha comportato ricadute, dirette e indirette molto onerose. Sulla scia dello sdegno provocato da quelle morti, evitabili se non si fosse risparmiato sui costi di manutenzione del viadotto che sovrastava la zona industriale dei quartieri genovesi di Campi, Certosa e Rivarolo, il governo dell’allora primo ministro Giuseppe Conte promise una grande riforma sul sistema delle concessioni italiane, promettendo la revoca alla famiglia Benetton. La realtà dei fatti, divenuti improvvisamente intricati e farraginosi così come l’inchiesta giudiziaria che li ha accompagnati, ha trasformato la revoca della concessione in un acquisto dal costo di 8,2 miliardi di euro pagato con soldi pubblici. Tanto è servito affinché Cassa Depositi e Prestiti rilevasse l’88 per cento del capitale di Autostrade per l’Italia da Atlantia, quindi dai Benetton. E così una delle pagine più nere della storia recente del nostro paese si è tramutata in un macabro affare per una delle famiglie più influenti: “Eravamo circondati da emissari dei Benetton, a destra e a sinistra”, ha detto Conte nel corso di un’intervista a “100 minuti”, il programma d’inchiesta condotto da Corrado Formigli e Alberto Nerazzini, andato in onda lunedì sera su La7. L’ex premier era l’ospite di una puntata dedicata alla famiglia trevigiana intitolata “United colors of money”, in cui si esplorava la ricchezza dei Benetton in tutte le sue molteplici forme. Quella ascrivibile alle sole holding finanziarie in mano ai Benetton ammontano, complessivamente, a 240 milioni di euro. Andrea, Christian, Leone e Massimo Benetton sono i discendenti di Carlo, e titolari anche del 5 per cento di Edizione, la holding di proprietà della famiglia che controlla, tre le altre, anche Telepass e Autogrill.

Conta ha parlato a lungo, provando a spiegare le ragioni che hanno portato alla vendita, e non alla revoca, della concessione in capo ad Autostrade per l’Italia. “In caso avessimo portato avanti la revoca, i nostri tecnici mi mostrarono previsioni per cui lo Stato rischiava di rimetterci 29-32 miliardi di euro, più i danni. Rischiavamo un contenzioso da 40-50 miliardi”. Il tema ha portato l’ex premier a scontrarsi con l’allora ministro dei Trasporti Danilo Toninelli, la cui strada si è oggi definitivamente separata da quella del Movimento 5 Stelle. Per Toninelli “la società – Austostrade ndr – sarebbe dovuta fallire”, ma “Conte a un certo punto mi disse che avremmo dovuto dire che chiedevamo la revoca, ma poi trattare”. A ostacolare la revoca, fino a renderla impossibile, sarebbe stato il contratto siglato tra lo Stato e la società firmato nel 2007 dal governo Prodi e poi trasformati in legge con un decreto del governo Berlusconi. In particolare, la clausola capestro che legava, di fatto, le mani dello Stato: “Quella concessione era un obbrobrio, uno scandalo giuridico, non ho mai visto un contratto così sbilanciato – dice ancora Conte –. All’università insegniamo che nelle concessioni è lo Stato a dettare le condizioni, qui era il contrario.” Ma sia le parole direttamente rilasciate dagli esponenti politici che quelle “rubate” all’ex viceministro allo Sviluppo Economico, Stefano Buffagni, sembrano delineare uno scenario in cui la presenza dei Benetton è talmente saldata alla politica del paese da consentirgli di sopravvivere ad uno scandalo di queste dimensioni senza veder intaccato il proprio patrimonio e senza coinvolgimenti giudiziari. Buffagni parla di “figli dei funzionari del ministero dei Trasporti assunti in Autostrade, pagamenti nascosti da 400mila euro da parte di funzionari della società concessionaria e, in ultimo, l’ipotesi di un’intesa tra l’ex amministratore delegato di Atlantia Francesco Castellucci ed esponenti del governo per salvare Alitalia “in cambio della rinuncia alla revoca”. Il ritratto di uno Stato nelle mani delle concentrazioni di ricchezza private.

