Fabrizio Corona se la prende pure con la privacy, forse ha delle chat private che la privacy ha mandato alla sua amante e dedicherà una puntata di Falsissimo a quanto sia bastarda infedele la privacy. O forse ci dirà qual è il vero orientamento sessuale della privacy grazie a video di festini privati su yacht e in appartamenti, anche questi privati. Dopo il caso Raoul Bova e quello dei calciatori “freaky”, l’ex re dei paparazzi spiega in una storia perché non dovremo rispettare la privacy secondo lui: “La privacy è l'ultimo alibi dei perbenisti. È l'armadio dove i moralisti nascondono i loro scheletri. È il paravento dietro cui si commettono i veri crimini: quelli fiscali, quelli sentimentali, quelli di potere. Voi invocate la privacy non per proteggere la vostra libertà, ma per nascondere la vostra mediocrità e le vostre colpe. La vera libertà non è nascondersi, è non avere niente da nascondere. Io la mia vita l'ho messa in piazza, nel bene e nel male, pagando ogni prezzo. Voi, invece, cosa proteggete davvero dietro la porta chiusa di casa vostra?”
L’aspetto davvero difficile da spiegare è che, anche fosse così, anche fosse un alibi dei perbenisti, anche fosse l’armadio in cui nascondere i propri scheletri, quegli scheletri e quell’armadio non sono di Fabrizio Corona e uno ha tutto il diritto di farci ciò che vuole. Corona no. A meno che non abbiano una rilevanza sociale, le relazioni di Raoul Bova o l’orientamento sessuale di un calciatore non sono affari nostri. Neanche nel caso in cui mentissero, neanche nel caso in cui fossero delle cattive persone. Di più: le chat segrete di Raoul Bova non sono una notizia, non sono informazione, non sono un tema di cui discutere. Tutti possiamo avercela con un traditore, un bugiardo o un vip che si è comportato male con qualche fan. Ma questo non ci dà il diritto di venire a conoscenza della sua vita privata. L’idea che smascherare le star sia un’attività legittima è una perversione antigiornalistica: bisogna sì smascherare le star, ma non diffondendo questioni private. Se Raoul Bova si fosse appropriato dei soldi della Rai per un programma mai realizzato, allora avremmo una notizia. Se Raoul Bova manda messaggi “spaccanti” a una ragazza, per quanto possiamo giudicare pessima l’azione, non ce l’abbiamo.

Tuttavia, basta semplicemente spiegare perché il discorso di Corona è privo di senso. “La vera libertà non è nascondersi, è non avere niente da nascondere”. Questo è platealmente falso secondo qualsiasi teoria sulla libertà. L’idea più diffusa e popolare è che la libertà sia la capacità di scegliere cosa fare delle proprie cose: corpo, idee, esperienza, casa, automobile. La proprietà privata, in altre parole, è un fondamento della libertà. Per essere tale, la proprietà privata deve garantire a chi ne ha diritto un potere esclusivo su certi oggetti. Se, per esempio, ho la proprietà privata di casa mia, allora posso farci ciò che voglio. Sappiamo che in società complesse ci sono molte più sfumature: non posso usare la mia casa come laboratorio in cui fare esperimenti con l’uranio o non posso creare un fossato e riempirlo di coccodrilli (almeno senza ottenere dei permessi). Il diritto alla privacy non è in realtà nulla di diverso da questo: un diritto di proprietà entro certi limiti, ovvero l’influenza che le tue azioni possono avere sul resto della società. Dal momento che le chat private e le relazioni di Raoul Bova non hanno alcun impatto sul piano collettivo e sociale, allora Raoul Bova ha la totale proprietà privata su quelle chat e le sue relazioni, proprietà che chiaramente viene bilanciata dalla ragazza con cui chattava. Violare la privacy di qualcuno è violarne la libertà. Quindi la vera libertà non è non avere niente da nascondere, ma avere il diritto di nascondere ciò che non c’entra niente con il resto del mondo. Chi non lo rispetta sta violando la tua libertà.
Un altro aspetto interessante della privacy riguarda lo ius solitudinis e cioè il diritto a essere lasciati in pace. Questo è sempre stato chiaro fin dalla fine dell’Ottocento, quando il concetto di privacy è stato teorizzato probabilmente per la prima volta. Paradossalmente è Corona a spiegarlo perfettamente: “Io la mia vita l'ho messa in piazza, nel bene e nel male, pagando ogni prezzo”. La sua è stata una scelta presa sulla sua vita. Il risultato? Ha rinunciato al diritto a essere lasciato in pace. Lo ha fatto volontariamente, in totale libertà. Ma se io scegliessi di volere il contrario? Se rivendicassi il mio diritto a restare solo? Lo ius solitudinis può essere apprezzato in contrasto proprio con un altro diritto, quella alla libertà di espressione. Immaginate se a Corona fosse stato impedito di mettere in piazza la sua vita. Altri avrebbero scelto per lui cosa fare del suo privato, di fatto censurandolo. Salvo casi estremi, come la pubblicazione su piattaforma non adatta di contenuti espliciti e per adulti, non esiste nessuna ragione per impedire a Corona di sputtanarsi da solo. Intervenire sul suo diritto a sputtanarsi o meno è un’aggressione alla sua libertà. Ma questo vale anche nel caso in cui avesse scelto di non volersi sputtanare. Nessuno può impedirgli di prendersi cura della propria immagine. È questo il problema reale dell’approccio scandalistico di Corona. Non solo gli effetti negativi sulla vita delle persone la cui privacy è stata calpestata, ma la semplificazione di un tema fondamentale in una società civilizzata.
