Tutto già visto, tutto previsto, tutto già letto in “Shock Economy” di Naomi Klein. Tragedia, catastrofe, disastro umanitario, ricostruzione, sostituzione dei poveri con i ricchi. Non si tratta di “pulizia etnica”, ma di “pulizia economica”. Il progetto di Donald Trump “GREAT” (Gaza Reconstruction, Economic Acceleration and Transformation) sulla creazione di una “Riviera di Gaza” viene dritto dritto dalle teorie liberiste di Milton Friedman e dalla cosiddetta “Scuola di Chicago” (in testa ai poveri, ca va sans dire). Ed è una meraviglia, per chi se ne sta fermo aspettando l’Apocalisse (come me) che le ipocrisie religiose vengano a galla come stronzi che galleggiano nella spiaggia davanti a un resort di lusso. Già la celeberrima “esportazione della democrazia”, dove commentatori corrotti dall’eloquio forbito si esercitavano in supercazzole arzigogolate, si mostrò presto per quello che era: controllo sul petrolio e ‘sticazzi la democrazia. Adesso, gli stessi commentatori, virano sullo scontro apocalittico di due guerre sante: Antico Testamento contro Corano, quando invece si tratta solo di economia, di economia dello shock, si tratta soltanto di far diventare i ricchi del pianeta ancora più ricchi e in culo ai bambini poveri morti (che poi, proprio questa faccenda sia “apocalittica” e che l’Anticristo si incarni e manifesti attraverso i loro editoriali è meglio, forse, per loro, che non lo sappiano: essere ‘agiti’ dall’Anticristo, che meraviglioso scherzo profetico).

Così, chi parla ancora di Dubai, Sharm o Mykonos non ha capito niente: il futuro del turismo di lusso si chiama Riviera di Gaza. È il sogno del piano GREAT di Donald Trump, pensato per trasformare un’area devastata da guerre e embargo in una Las Vegas sul Mediterraneo, con tanto di resort scintillanti, influencer in posa tra le macerie e fuffaguru pronti a venderti corsi di “resilienza spirituale”. Trump dice di essersi ispirato a Parigi, ma è falso: il modello è Dubai, ed è una perculata metafisica che nella Terra Promessa dell’Ebraismo si voglia costruire la Terra Promessa sul modello di quella sognata dai musulmani petroliferi (e non certo coranici, il corano serve solo a promettere vergini e alimentare l’industria del terrorismo – mai nessun ricco che diventi un kamikaze): Dubai, il piano GREAT ne copia persino le isole artificiali (già fallite come real estate, eppure riproposte in un delirio delle ruspe), patria di influencer, fuffaguru e mignottone. Naomi Klein, nel suo "Shock Economy", l’aveva spiegato con chirurgica lucidità: “Le catastrofi sono opportunità”. Ecco: quale catastrofe migliore di Gaza per trasformare la disperazione in un pacchetto vacanze all inclusive? Klein non parlava della Riviera di Gaza, ma sembra che qualcuno abbia preso appunti. Immaginatevi il catalogo turistico: piscine a sfioro con vista su checkpoint dismessi, cocktail “Intifada Sunrise” serviti con ombrellini rigorosamente in tonalità mimetica, tunnel di Hamas riconvertiti in escape room con opzione “premium trauma”. Il tutto condito da workshop motivazionali tipo: “Trasforma il tuo dolore in business model”. La promessa, d’altronde, è antica: e cosa c’è di più iconico di una terra promessa che diventa promessa di prenotazione? Pacchetti “Messia Inclusive”: escursioni nel deserto con cammelli dotati di wi-fi, brunch domenicali serviti con citazioni di Isaia e meditazioni guidate “in attesa della seconda venuta” (non taglieranno di certo il turismo cristiano e si troveranno soluzioni interpretative per fare coincidere la seconda venuta del Cristo ‘cristiano’ con la Prima Venuta del Messia ebraico): se il Cristo, secondo la tradizione ebraica, deve ancora arrivare, tanto vale che trovi già pronta una suite presidenziale vista mare con spa a tema biblico. Come scrive Klein, “il capitalismo del disastro non ricostruisce ciò che c’era: costruisce qualcosa di radicalmente diverso, e lo fa per chi ha i soldi, non per chi ha sofferto la catastrofe”: ecco a voi le piscine con cascata a forma di muro del pianto.
