E se Italo Bocchino fosse tornato per restare? L’onorevole, ora direttore del quotidiano Secolo d’Italia, è diventato senza dubbio il protagonista del lato destro degli studi televisivi, da Piazzapulita a DiMartedì, passando per Otto e mezzo di Lili Gruber. Tutti programmi considerati di sinistra, che in un modo o nell’altro sembrano aver dato fiducia all’ex Pdl disinvolto ex finiano, divenuto più o meno (molto più che meno) consapevolmente alfiere del governo Meloni. L’ultima polemica si è innescata a partire dal suo nome, Italo, proprio a DiMartedì, dove lo scrittore sperduto e disorientato Marcello Fois si è impegnato a tal punto per evitare di discutere dei temi del dibattito da proporre una genealogia del nome di Bocchino, Italo, lo stesso di Calvino ma per motivi diversi (il secondo aveva un padre socialista utopista; il primo è un tributo a Italo Balbo). Ma l’ex onorevole e giornalista non è nuovo alle discussioni, persino quelle tra le mura domestiche del centrodestra, ai tempi della diaspora dei finiani dal Popolo della Libertà. Sta di fatto che negli ultimi tredici anni, dalle grandi dimissioni a oggi, Bocchino si è rigenerato a tal punto da avere una nuova moglie, un nuovo ruolo nell’ecosistema della destra postberlusconiana e un nuovo successo. Un successo graditissimo ai conduttori, tra cui Lili Gruber. Ma ci arriviamo.
Gli anni in Alleanza Nazionale furono un apprendistato alla sopravvivenza e alla longevità. Dopo la svolta di Fiuggi la destra di Gianfranco Fini sembrava aver avuto più successo come alleata di governo che non come forza autonoma e motrice di un nuovo centro politico. Bocchino venne eletto nelle fila di An nel 2001 e nel 2006 diventerà capogruppo della Commissione Affari Costituzionali proprio per lo stesso partito. Poi la migrazione nel Pdl, ovviamente nella corrente di Fini, in onore del quale fonderà Generazione Italia, un tentativo laico e liberale che come tutto ciò che prova a essere liberale in Italia finisce per sparire. Poi la suddetta dimissione raccontata a mo’ di epurazione (“Berlusconi ha chiesto la mia testa”) e l’approdo in Futuro e Libertà per l’Italia, partito che avrà, ironicamente, poco futuro. Ai tempi la crisi di Fini e affini fu tale e raccontata in modo lapidario da tutti, dalla sinistra che godeva come un cammello sotto una palma – ci voleva una crisi interna alla destra per respirare – alla destra berlusconiana e mediaticamente, è chiaro, egemone, che probabilmente Fini stesso iniziò a convincersi di aver sbagliato. Nel frattempo Bocchino pare essersi avvicinato al mondo di Alfredo Romeo e viene accusato di traffico di influenze. L’ex deputato verrà coinvolto anche nel caso Consip, nonostante il nome mediaticamente più pesante sia stato sempre quello del papà di Matteo Renzi, Tiziano, per cui si è chiesta in questi mesi l’assoluzione (per Bocchino, invece, si chiede un anno). Da lì l’esilio fino ai giorni del grande ritorno di fiamma dello spirito di Alleanza Nazionale, fiamma un po’ in tutti i sensi. Giorgia Meloni vince le elezioni del 2022, diventa premier. Il primo premier donna, il primo premier donna di destra e il primo premier di An. E così riemerge ciò che resta di Fini. Bocchino. Come un contrappunto autoriale e da intellò alla massima di Gino Paoli, “senza fine”, anche la storia della nuova destra, non sa mettersi un punto. E perché farlo, d’altronde, se si viene eletti?
Ma il ritorno di Bocchino non è solo un riflesso del successo politico di Fratelli d’Italia. Non è neanche merito della bellezza ritoccata per mano della neosposa Giuseppina Ricci, bellissima chirurga estetica che lo aiuta con sangue e fatica a tenersi giovane. No, non in senso figurato. Il sangue è vero. O meglio, plasma. Si chiama prp, sono punturine a difesa perenne dei suoi capelli, racconta Bocchino stesso, costretto – lo dice lui – a stendersi ogni tre settimane sul lettino della consorte, conquistata con una mossa da eroe romantico di altri tempi (quel tipo di romanticismo per cui oggi le femministe scenderebbero con nonchalance in piazza), la sorpresa – egli stesso – nella stanza di albergo a Bologna di lei, era riuscito a entrare fingendosi suo marito alla reception, con un libro in mano mentre ascoltava Tchaikovsky. No, tutto questo aiuta ma non basta. Deve esserci altro. Qualcosa in più, qualcosa che odori di soldi. Lo share. Sì. Arriviamo alla Gruber come promesso. Da alcune indiscrezioni, infatti, pare che Bocchino faccia alzare lo share della Gruber, a Otto e mezzo, di un paio di punti percentuali. In effetti litiga un po’ con tutti, da Andrea Scanzi ad Antonio Scurati. A DiMartedì mette a tacere il Alessandro Di Battista addolorato con kefiah e riesce persino a emergere rispetto a molti interlocutori pulitini e incravattati. D’altronde era l’uomo con le maniche arrotolate e l’iPad del rinnovamento, altro che Matteo Renzi per il Pd. Alla fine della sua esperienza sotto il Cavaliere scrisse un libro, Una storia di destra. Oggi potrebbe uscirne un altro. Un futuro di destra. La scommessa vinta. Perché la sua scommessa, per ora, l’ha vinta davvero.