Se sia stato fatto di proposito o no non si sa. Nel caso in cui lo abbia fatto di proposito, capire il perché è comunque complesso. Ma che Papa Leone XIV, alla fine dell’udienza per la stampa, abbia, passando in mezzo alla folla, evitato e dato le spalle a un uomo con in mano una bandiera della pace, produce almeno due importanti benefici per la Santa Sede, sia sul piano della comunicazione politica vaticana, sia sul piano del risveglio culturale che sembra Prevost imporrà alla Chiesa.
La comunicazione politica. L’ultimo pontificato, quello di Papa Francesco, è stato un governo umorale. Bergoglio ha sicuramente innovato la comunicazione vaticana, alleggerendola e spostandosi verso il mondo dei social. Ma questo ha portato inevitabilmente anche alla semplificazione, allo slogan e a tutti quei rischi che si corrono nel modello di comunicazione tipico dei social, uno su tutti, l’estrema polarizzazione. Leone XIV deve allora risanare questo bug comunicativo, che impoverisce non solo la Chiesa ma la indebolisce, soprattutto perché nega la Dottrina, anche di cautela, che la Chiesa ha imparato, soprattutto nel Novecento, a coltivare, non solo come paradigma diplomatico, ma anche con una funzione di natura specificatamente religiosa, e cioè di sostenere le cause giuste, non le cause a prescindere (e dunque anche la pace a prescindere, che poi vera pace non è). E si arriva al secondo punto.
Il risveglio culturale. Oggi quella bandiera arcobaleno non è il simbolo della pace ma del pacifismo, cioè di quell’attivismo, anche un po’ ingenuo, che auspica una pace senza guardare alle condizioni della pace né ai motivi della guerra. Abbracciare quel segno, non di pace ma di pacifismo, sarebbe stato piegare l’autorità papale, il suo abito, a una logica dell’addomesticazione, della subalternità rispetto al prepotente di turno, alle condizioni di Putin invece che alle condizioni della pace, una su tutte: la giustizia. Ne abbiamo già parlato qui, ma il punto è molto semplice e autoevidente: Papa Leone XIV, che legge i suoi discorsi, che ama il tennis, va a cavallo, è giovane e governerà, auspicabilmente, per molto tempo la Chiesa cattolica, esprime con atteggiamento moderato e sereno la serietà che il suo ruolo gli impone. E lo fa con un senso del dovere (e anche con un’idea della “ragion di Stato”) che i nostri politici dovrebbero invidiargli.
