«Sulla base delle prestazioni fornite dai candidati si raccomanda di nominare il sig. Luigi Di Maio». Lunga vita e prosperità al merito. Ah, no. Come dici? C’erano altri tre candidati, uno più titolato dell’altro, e hanno scelto lui? Il merito ricorda sempre di più la vecchia zia di cui ti ricordi per qualche sgravo fiscale o per superare la fila. In questo caso, secondo Lorenzo Giarelli del Fatto quotidiano, la zia sarebbe Mario Draghi che avrebbe dato il benestare all’italiano agli occhi degli europei. Non che il merito possa essere il metro di misura di una società anche lontanamente civile, basterebbe leggere Il giusto a chi va del filosofo di stanza a Bologna Roberto Brigati. Ma questo non vuol dire che al suo posto si debba caldeggiare il demerito. E fa anche specie pensare all’ipereconomicista Unione Europea che sceglie come inviato nel Golfo Persico, tra i quattro candidati, il meno competente. Diamo un’occhiata ai curricula.

Magari quando parlano di prestazioni stanno pensando alla volontà di Di Maio, espressa il 6 marzo scorso, di rafforzare la cooperazione energetica con il Qatar, per ridurre la dipendenza dal gas russo. In effetti ha senso, dopotutto l’Europa è intervenuta nella guerra in Ucraina per difendere strenuamente i valori occidentali e i diritti umani, è giusto premiare chi si impegna per stabilire nuovi legami con dei Paesi democratici come il Qatar. O della bella amicizia tra il Nostro e Josep Borrell, l’Alto rappresentante per la politica estera UE. Magari Ján Kubiš non era, tra tutti, forse la miglior alternativa agli occhi di una commissione indipendente incaricata dall’UE, dopo che a fine 2021, dopo appena dieci mesi, aveva dato le sue dimissioni da inviato dell’ONU in Libia, forse annusando il rinvio delle elezioni previste e la crisi successiva, tanto da voler rimanere di stanza a Ginevra ed essere considerato un inviato speciale a Tripoli. Ma se parliamo di commissione indipendente, il secondo termine dovrebbe pur avere un valore in sé. Indipendentemente dai malumori delle Nazioni Unite (e dunque di una gran parte dell’Europa), avrebbero potuto dare un’occhiata al curriculum. Certo, ha studiato all’Istituto Statale di Relazioni Internazionali di Mosca, non proprio un buon bigliettino da visita per il giornalismo volgare e maccartista di questi mesi, ormai sempre più coincidente con l’opinione pubblica, ma la sua carriera da diplomatico è decisamente notevole. È stato Segretario generale per la Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Iraq dal 2015 al 2018, coordinatore speciale delle Nazioni Unite per il Libano nel 2019, poi la breve parentesi con la Libia. Nel 2005 l’UE lo aveva nominato inviato speciale in Asia Centrale, prima ancora era stato inviato speciale delle Nazioni Unite nel Tagikistan (1998-1999) post guerra civile. Nel 1994 fu scelto come direttore del Centro per la prevenzione dei conflitti presso il segretariato dell’OESCE, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa. Segretariato che gli venne poi affidato. Senza contare la carriera di ministro e ambasciatore slovacco.

Dimitris Avramopoulos era un altro dei candidati. È stato lettore in giro per il mondo, alla Stanford, alla Columbia, e visiting Fellow ad Harvard. È professore onorario dello European College di Parma e della Peking University a Beijing. Ha studiato alla Law School of Athens’ University, per poi prendere una specializzazione a Bruxelles. Nel 1986, non pago, si prende una licenza speciale in Studi Europei. Comunque anche Di Maio è stato a Harvard, è giusto ricordarlo. Era il 2017. Venne invitato come esponente populista per essere ridicolizzato dagli studenti (anche un italiano) a cui sembrava inaccettabile che ci fossero politici senza titoli di studio, proprio come lui. Ma passiamo agli incarichi di Avramopoulos. Dal 1980 a oggi ha avuto una carriera politica di alto livello senza interruzioni di sorta. In odine sparso, è stato: Ministro per gli affari esteri della Grecia, Console della Grecia a Liège in Belgio, Console generale a Ginevra (Svizzera), direttore dell’ufficio diplomatico del Primo Ministro Mitsotakis, Ministro per la Difesa Nazionale, Ministro dello turismo, Ministro della Salute e della Solidarietà Sociale e sindaco di Atene per ben due volte. Poi i premi in tutto il mondo, Italia compresa, come gli ordini al merito (in Portogallo, in Polonia, in Spagna, in Belgio, in Svezia, e così via). Ad Agosto nel 2019 aveva sostenuto l’impossibilità di un blocco navale per i migranti e la necessità, nel rispetto dei diritti umani, di redistribuire chi arrivava sulle coste europee fra tutti gli Stati europei. Non può certo sprizzare simpatia agli occhi di un’Europa sempre più in preda qualsiasi fobia (di destra o di sinistra che sia).

Arriviamo all’ultimo dei tre candidati, Markos Kyprianou. Istruzione tra Atene, Trinity College di Cambridge e Harvard Law School. È stato ministro delle finanze a Cipro, membro della commissione europea come responsabile per la salute e la protezione dei consumatori, commissario europeo per il budget ai tempi della presidenza di Prodi (siamo nel 2004), commissario europeo per la salute, la sua carriera politica si avvia nel 1986, a 26 anni, come consigliere comunale di Nicosia. Una carriera dal basso, fatta nei ranghi giovanili del Partito Democratico, fino ad arrivare alle più alte cariche politiche. Certo, anche Di Maio ha iniziato a 26 anni, diventando il più giovane vicepresidente della Camera della storia italiana. Con l’unica differenza che il cipriota ha un cursus honorum alle spalle. Non c’è bisogno di ricordare il curriculum di Di Maio, no? Figlio di un attivista militante nell’MSI e poi di AN, prova ingegneria informatica ma rinuncia, prova giurisprudenza … ma rinuncia. Poi la scalata nel Movimento 5 Stelle, in quella parabola che lo ha visto prima bibitaro al San Paolo di Napoli, poi capo politico del Movimento, infine contestatore interno arrivato a dimettersi e a unirsi con i tanti criticati democratici di Letta. Ma se tutto è nietzschianamente nella grande ruota dell’eterno ritorno, sarebbe bastata un po’ più di giustizia in più in sede di nomina per vedere il nostro italiano portare il un tè nel deserto agli altri tre, ben più meritevoli di lui.
