Diletta Leotta la conoscono tutti. Grazie a lei, da qualche ora quasi tutti conoscono anche il Berghain di Berlino, club di culto – come suol dirsi in questi casi – per gli appassionati duri e puri della musica elettronica. Un locale più citato che frequentato in particolare da chi lo nomina spesso e volentieri a sproposito, stile Carlo Verdone in “Borotalco” e quel cargo che starà ancora battendo bandiera liberiana. La fredda cronaca. Tutto quanto sa di comico, quindi dopo Verdone citiamo Antonio Albanese e il suo impareggiabile personaggio Frengo, che era solito iniziare i suoi surreali resoconti calcistici con l’incipit “la fredda cronaca”. In diretta durante il suo programma su Radio 105, la Leotta ha raccontato di essere stata a Berlino ed aver provato ad andare al Berghain insieme al fidanzato Loris Karius, il portiere del Newcastle United. Entrambi respinti dopo aver trascorso presumibilmente parecchio tempo in coda come tutti quelli che vogliano provare ad entrare nel club tedesco. Sarà stata colpa del suo cappotto giallo?
Il mito del Berghain si è consolidato negli anni; si trova in un’ex centrale elettronica ed è famoso ben oltre la cerchia degli addetti ai lavori e degli appassionati di musica techno per le sue maratone musicali con i migliori dj del pianeta (a Capodanno è durata circa 60 ore) ed è famoso anche in ambito mainstream perché al suo interno sono vietate foto e riprese con i telefonini e per entrarci ci si deve mettere in fila per ore ed ore e superare la rigidissima selezione all’ingresso. Una selezione che non fa sconti a nessuno – tantomeno a quanto pare a Diletta Leotta ed al suo fidanzato – e che ha contribuito a costruire il mito Sven Marquardt, il selector berlinese classe 1962 che ha persino recitato nella saga cinematografica “John Wick”. Per far capire quanto sia complicato entrare al Berghain, basti pensare che è stato persino creato un sito che aiuta a far pratica per non farsi rimbalzare all’ingresso. Si chiama Berghaintrainer e necessita di webcam e microfono. Altro che i simulatori di volo. Qua si vola davvero altissimo, come dimostrano anche i tantissimi tutorial su YouTube.
Tutti in coda e che Sven la mandi buona. Intendiamoci, la selezione all’ingresso dei locali non è stata inventata dal Berghain. Il “tu si, tu no, tu forse” è nato negli anni Settanta con lo Studio 54 di New York, dove una persona fu persino trovata morta nei condotti dell’aria condizionata dove aveva cercato di intrufolarsi pur di entrare nel club. Se allo Studio 54 per entrare – magari a cavallo come Bianca Jagger – si doveva essere cool e conoscere le persone giuste, non soltanto i selector, con il Berghain è tutta è un’altra storia e va bene, anzi benissimo così: non è questione di conoscenze, di ceto sociale, di dress code o di postura in quanto tali. Ognuno ha la sua ricetta per provare ad entrarci, si va dal look suggerito – un total black, ça va sans dire – al fatto che sia meglio essere accompagnati ma non in gruppo: che cosa faccia la differenza lo sa soltanto herr Marquardt, magari nel caso specifico della Leotta, il nein è nato perché il nostro non è un tifoso della Union Berlino o del Magonza, dove Kairus ha militato negli anni trascorsi in Bundesliga. La morale della favola, ammesso ne esista una? Non è dato ovviamente sapere se il racconto di Diletta Leotta sia vero o verosimile. Se è stata una brillante invenzione di qualche social media manager, meglio ancora: il mito del Berghain si è rafforzato anche in ambito nazional-popolare e non sta a noi giudicare se sia un bene o un male. Del resto una massima storica del giornalismo recita di non rovinare mai un bell’articolo con la verità; in questi tempi moderni può valere anche per i reel su Instagram.