Perché le prefiche della cultura italiana si sono indignate per Sgarbi al MAXXI, chiedendone le dimissioni, ma tacciono davanti alla clamorosa figura di palta rimediata dal Ministro Sangiuliano allo Strega? Perché il fatto che durante la finale del premio letterario più importante d’Italia, il cui peso specifico sul mercato, in termine di copie vendute, è ancora enorme, il Ministro della Cultura Sangiuliano abbia rivelato di non aver letto i libri per cui ha votato, è stato liquidato come una figuraccia, un’occasione da meme, il pretesto buono per farsi quattro risate su quei volgarotti di destra senza cultura, è morta lì? La questione è molto più seria di come l’hanno raccontata. Lasciamo stare quello che ognuno di noi può pensare dello Strega (io ne penso tutto il male possibile, ma non è questo il punto). Siamo davanti a un giurato che ammette di aver votato a casaccio, ovvero a una chiara infrazione del regolamento, che garantisce a tutti i partecipanti al premio, non solo ai finalisti ma anche alle decine di libri segnalati dai cosiddetti “amici della domenica”, che i loro lavori saranno letti e valutati con attenzione da tutti i membri della giuria. Che sia lecito supporre che il premio Strega funzioni peggio che i peggiori concorsi nelle peggiori università italiane, è irrilevante: un conto sono le supposizioni, un altro l’ammissione in diretta TV, aggravata, peraltro, dall’arrampicata sugli specchi con cui, qualche ora più tardi, il Ministro ha cercato di metterci una pezza.
E allora perché nessuno chiede l’annullamento del voto? Perché nessuno contesta i risultati? Perché, insomma, nessuna prefica grida allo scandalo, come hanno fatto per quattro parolacce dette da Sgarbi in un contesto non ufficiale? La risposta è ovvia, ma di nuovo, un conto è avere un sospetto, un altro vedere la prova provata in diretta televisiva. Le prefiche di sinistra di cui sopra sono abituate, da anni, a fare esattamente quello che l’improvvido Ministro ha dichiarato candidamente. Anzi: sono proprio loro ad aver inventato quel sistema, o meglio, ad essersi impossessate di un sistema sano che un tempo produceva cinquine finaliste con dentro Moravia, Calvino, Gadda e ad averlo fatto marcire dall’interno, anno dopo anno, decennio dopo decennio. È il morbo che Fulvio Abbate chiama amichettismo, lo stesso che Luigi Mascheroni descrive settimanalmente nei suoi articoli. Il premio letterario principale di questo Paese viene assegnato senza che i giurati leggano i libri: e a tutti va bene così, nessuno si ribella, nessuno pensa sia strano, i vincitori festeggiano e gli sconfitti pensano a quando si rifaranno, tra un anno o due. Ecco perché alle prefiche di casa nostra conviene farsi una risata e affrettarsi a parlare d’altro, sperando che la vicenda sia presto dimenticata; perché’ magari a qualcuno può venire in mente di andare anche da loro, libri finalisti alla mano, e interrogarli a uno a uno sulla trama, per scoprire che tutto il mondo è paese, tutta Italia è Sangiuliano. Alla salute!