Scrivere un libro con Luciano Spalletti? “Come ballare il tango con una pianta di cactus”, racconta Giancarlo Dotto su MOW, che con lui ha firmato Il paradiso esiste... ma quanta fatica. Un racconto sincero, pieno di scontri e riconciliazioni, in cui Spalletti si mostra per ciò che è: fragile, spigoloso, ferito. Soprattutto da un divorzio, quello con il Presidente del Napoli De Laurentiis, mai davvero elaborato. “Gli è mancata una pacca sulla spalla”, dice Dotto. E no, non è un libro contro qualcuno. Ma nemmeno un’operazione di marketing, come sostengono, a sproposito, quelli che, il libro, non l’hanno nemmeno letto.

Hai scritto con Luciano Spalletti il libro “Il paradiso esiste... ma quanta fatica”. Prima di tutto, com’è stato scriverlo con lui?
Complicato ma bello. Perché l’equazione complicato-bello non è così così scontata. È stato complicato e in certi momenti sofferto, ma alla fine, quando lui ha deciso finalmente di farlo e si è lasciato andare, è stato molto generoso e ha raccontato cose che io non avrei mai creduto potesse dire, sia sulla vicenda Totti ma anche sulla vicenda del Napoli. In particolare, devo dirti, mi ha molto stupito quando ha ammesso, a mia precedente domanda, che se De Laurentiis si fosse comportato diversamente, probabilmente avrebbe accettato di restare a Napoli ancora un anno. Questo mi ha abbastanza spiazzato.
Cosa vuol dire “comportato diversamente”?
Spalletti ci è rimasto molto male, si è sentito frustrato dal fatto che alla fine di tutto De Laurentiis non abbia voluto riconoscere la qualità e la dedizione del suo lavoro. Non l’ha fatto in pubblico e non l'ha fatto meno che mai in privato. Non parlo di soldi, ovviamente, parlo di quei riconoscimenti morali che danno spesso un senso al nostro lavoro. Sarebbe bastato poco, due parole non di circostanza, una pacca sulle spalle. Sono completamente mancate... Lui, da questo punto di vista, è rimasto veramente ferito, amareggiato. E questo alla fine di un rapporto che già non era mai stato idilliaco. Possiamo tranquillamente parlare di conflitto di personalità tra i due. La stanchezza, la meraviglia di questa impresa, il comportamento di De Laurentiis hanno portato al capolinea un uomo abbastanza deluso. Felice per lo scudetto, ma deluso per tutto il resto. E soprattutto stanco, che aveva deciso di prendersi un anno di tranquillità lontano dalla panchina. Poi arrivò la famosa telefonata, che poi è l’apertura del libro, di Gravina. E lì naturalmente cambia tutto l’orizzonte, la prospettiva: la chiamata della Nazionale, che per uno come Spalletti rappresenta davvero il culmine di una carriera.
Per chi conosce Luciano c’è un aspetto fondamentale nel suo codice etico: sensibilità. Come mai questo non arriva a tante persone? Spesso lui è bersaglio di critiche.
Ho visto che anche questo libro ha suscitato critiche, anche se naturalmente poi bisogna anche interpretare. Perché poi, potentati come quelli di De Laurentiis (potentati lo dico nel senso buono, nel senso che De Laurentiis è un uomo oggettivamente potente, ha fatto cose molto importanti a Napoli, continua a farle) inevitabilmente portano il mondo della comunicazione spesso a schierarsi. Non voglio aggiungere altro.
Però questo libro, se uno lo legge veramente, non è un attacco, ma una difesa...
Sai che cosa mi risulta veramente sgradevole, al limite del disgusto? Che probabilmente molti di questi non hanno neanche letto il libro. Chi lo ha letto, avrà notato che ci sono molte espressioni, riconoscimenti da parte di Spalletti nei confronti di De Laurentiis, e del suo talento, della sua capacità di imprenditore. Alcuni sono in chiave ironica, è evidente, ma altri sono sinceri. In quanto alla tua domanda: perché non arriva la vera natura di Spalletti? Perché la sua maschera è difficile da valicare. Spesso le persone molto sensibili si difendono dalla loro stessa sensibilità dotandosi di maschere molto spinose. È quello che succede nel caso di Spalletti. La sua maschera è molto spinosa. Come io ho scritto, fare un libro con lui è stato come allacciarsi e ballare il tango con una pianta di cactus.

Avete discusso durante la scrittura?
Evidentemente sì. Se fai un libro sincero, non puoi non discutere. Perché naturalmente poi ognuno sta nella sua parte, nel suo ruolo. Il mio era quello di stimolarlo a tirare fuori le cose, il suo era quello di difendersi da me, cioè dallo stimolatore. Perché poi per me è facile dire cosa scrivere. Però è l’altro poi è quello che si espone, che va incontro a tutte le conseguenze.
Una biografia lascia sempre alle spalle consensi e polemiche, amici e nemici. Molti nemici soprattutto: la gente che non hai citato, la gente che hai citato non abbastanza, o che hai citato male. Insomma, una biografia è sempre una scelta molto impegnativa, soprattutto se onesta e sincera, come è stata quella di Spalletti. Qualche nemico precostituito, diligente, militante nemico di Spalletti ha detto che “tutta la storia su De Laurentiis è un’operazione di marketing”. Mi sembra veramente una delle cose più cretine che abbia mai ascoltato. Ma allora qualunque biografia è un’operazione di marketing. Una biografia, soprattutto se sincera deve raccontare anche le cose che sono sgradevoli. Perché la vita è fatta anche di questo...
Nomi e cognomi dei detrattori?
Io non so neanche i nomi e cognomi di queste persone, perché per me rappresentano facce di una massa di anonimi che neanche conosco. Il nome e cognome sono dei francobolli appiccicati su delle identità irrilevanti. La cosa importante è il concetto, le cose che dicono queste persone. Quando la Vanoni fece con me la sua biografia, parlando delle perversioni di Strehler o delle stravaganze di Gino Paoli, raccontava una sua esperienza, una sua storia. È un’operazione di marketing? No, è un pezzo della sua vita.
In una discussione tra te e Luciano, chi è che poi rialzava il telefono per dire: “Dai, rimettiamoci a scrivere”?
Nell’ultima che c’è stata, il libro è stato sul punto di non farsi molte volte. Una volta dopo gli Europei sembrava definitivo. È uscito dagli Europei veramente a pezzi, frantumato dentro e fuori, molto deluso. Si è chiuso nel suo eremo a Montaione. Quindi lì è stato un momento di crisi molto forte. Poi, durante la stesura del libro, ci sono stati momenti roventi, ma sempre costruttivi, perché dopo i nostri rapporti erano sempre migliori. Nell'ultima discussione è stato lui a fare lo sforzo maggiore di riconciliazione. Io, ammetto, ero piuttosto esasperato e deciso a chiuderla li... c’è sempre uno dei due che fa questa mossa.

Ma mi interessava saperlo, perché due caratteriali così...
Quando si fa un libro a due, si stabilisce un rapporto di complicità che è quasi più forte del rapporto d’amore. Il concetto di complicità che si stabilisce fra colui che aiuta a scrivere il libro e l’autore è un qualcosa di molto forte. Quindi poi c’è sempre uno dei due che si incarica di fare il passo buono. Comunque, ci sono stati diversi scontri. Scontri belli, vitali.
Io nei miei rapporti cerco sempre di forzare il nocciolo duro della sincerità, a costo di rischiare la rottura. Perché solo quella è feconda, solo quella è produttiva. Quindi per noi ce ne sono stati diversi, anche molto accesi. Però poi alla fine il libro c’è stato e credo che sia un buon risultato. Soprattutto un risultato generoso, interessante per chi ama il calcio, chi ama le storie di calcio, per i tifosi di Napoli, Roma, Inter, della Nazionale. Grazie devo dire anche alla mediazione dell’editor, è stato il cuscinetto, la giusta intermediazione tra me e lui. Tra due caratteri, come dici tu, molto forti, molto spinosi. Quindi è stata una bella squadra, insomma. Alla fine, ha funzionato.
Sei riuscito a regalare al pubblico uno Spalletti che si difendeva e che mostrava le sue fragilità.
È uno Spalletti che ha confessato la sua ferita, la sua fragilità. Come anche nel caso di Totti. Lui ammette tutti i suoi errori. Poi la storia di Napoli, ne è uscito ferito. Chi conosce Spalletti sa quanto questa ferita sia stata reale. Poi io non entro nel merito sindacando su chi fosse dalla parte della ragione o del torto. Ma questa ferita c’è stata. E con questa ferita lui ha dovuto fare i conti. Questo libro è stato un modo anche di fare i conti con il dolore e, forse, anche di chiudere. Anche se adesso siamo nel pieno della tempesta, perché ovviamente le reazioni ci sono tutte.
Se dovessi descrivere Luciano con un aggettivo?
Un uomo torturato. “Torturato” è un participio passato, ma può essere tranquillamente anche un aggettivo.
Sembra banale, ma ha vissuto tutto insieme, in poco tempo: il problema con Totti, quello con De Laurentiis, le critiche per la Nazionale. Come ha fatto a reggere?
Io aggiungerei un altro capitolo molto pesante, che è quello dell’Inter. Il sistema nervoso di quest’uomo ha subito un maremoto, uno tsunami terrificante. E naturalmente l’uomo assorbe molto, soffre, reagisce, si incavola, perde sangue. Poi è un uomo che riesce sempre a ricomporsi. Come è stato dopo la Nazionale. E lì era veramente distrutto. Però è ripartito.
Io l’ho incontrato la prima volta mesi dopo la debacle dell’Europeo e mi ha detto: “Andremo a Parigi a vincere, e vinceremo”. Mi sembrava l’affermazione disperata di un uomo che si affidava ormai al delirio. E invece sono andati a Parigi, con la Francia, e hanno vinto davvero. Quindi è un uomo che riparte sempre.
Potremmo usare per lui una parola oramai abusata, che però forse fa al caso suo: “resilienza”?
Sì, è diventata una parola molto abusata a forza di essere masticata, quasi senza significato. Però va bene, in questo caso ha un suo significato pertinente.