Fabrizio Corona, dopo i pestaggi di Noha continuano le inchieste sull'adolescenza criminale. La nuova puntata di Falsissimo, sulla strage di Monreale, segue la linea di quella da Galatina. Corona cerca di coprire un vuoto giornalistico, andando sul luogo della tragedia a parlare con la gente, cercando notizie. Un lavoro da reporter, che ogni volta lo porta a scoprire qualcosa. Dalla sua, rispetto ad altri giornalisti che fanno lo stesso genere di servizi, ha il personaggio. Il fatto di essere stato in galera, nel bene e nel male, gli ha conferito un'aura criminale che gli fa da lasciapassare perfino in un quartiere come lo Zen. Lo aveva già dimostrato in un video prima dell'uscita della puntata, in cui mostrava, nel pericolosissimo rione palermitano, l'esperienza di Vittorio Brumotti e di Ale Della Giusta, allontanati e minacciati. Lui, invece, viene accolto come uno di loro: gli fanno guidare un’Ape, lo abbracciano, fanno selfie di gruppo. Solo una ragazza, come si vede nella puntata, gli dice che “Questi vogliono sprovare”, e che “Sbirri non ne vogliono.” Sprovare è un verbo arcaico, usato dal Boccaccio e ancora in dialetto siciliano, e suona più o meno come, è facile da capirlo, cercare prove, incastrare. Ma quando gli si dice sbirro, Corona sbotta: “Oh, ma quale sbirro, io sono stato in galera.”

La puntata segue questa traccia: prima tappa a Monreale, seconda tappa allo Zen. Entrambe le fazioni coinvolte nella sparatoria. Si parte dal centro collinare, teatro della tragedia. Per la precisione, dal bar dove sono stati uccisi brutalmente e insensatamente i ragazzi. La barista spiega a Corona che lei era in cassa col titolare, e ha visto arrivare tutti i tavolini verso la vetrina, pensando che un'auto avesse sbandato. Dopodiché “hanno iniziato a tirare bottiglie, e nemmeno il tempo di chiudere la porta che si sono sentiti gli spari.” Questo smentirebbe la ricostruzione secondo cui gli assassini sarebbero andati via per poi tornare con le armi. Inoltre, la polizia non sarebbe arrivata subito: “C'era solo una pattuglia scesa da San Cipirello”, che per inciso è a 25 kilometri di strada di montagna da Monreale. Parlando con un altro ragazzo, Corona spiega il punto critico di tutta la vicenda: si è parlato di tre spari, ma sono stati ritrovati 25 bossoli a terra: “Questo vuol dire che, a oggi, ci sono almeno due o tre persone in più ad aver sparato, e che vengono coperte da quelli che sono finiti in carcere.” Poi ci si sposta allo Zen.

“Qui è casa di Gesù. Quando entri non ne esci più”, gli spiega un ragazzo del posto. Poi ne incontra un altro ed è importante perché, come dice lui, le notizie gli piovono addosso. Il ragazzo, che gli dice di non c'entrare nulla perché lavora al panificio a 200 Euro al mese, è omonimo e cugino di uno degli assassini, il reo confesso Salvo Calvaruso. Come spiega Corona, il ragazzo era finito in mezzo alle polemiche sui social perché la gente gli scriveva pensando fosse l'assassino, a maggior ragione per una foto postata in cui regge un'arma in mano. “Senza che io gli faccia nessuna domanda, inizia a difendersi”, dice Corona. Poi passa un motorino e il ragazzo cambia atteggiamento, vuole staccare. Chiede un selfie a Corona, poi lo posta sui social. Dopodiché un contatto chiama Fabrizio, dicendogli che il ragazzo era presente alla sparatoria, e che era stato anche identificato in Questura. “Quindi”, chiude Corona, “abbiamo intervistato uno di quelli che faceva parte del gruppo ma che non è ancora stato arrestato.” La stessa fonte gli spiega che sui social, ancora dopo la sparatoria, la guerra tra lo Zen e Monreale è continuata. C'è perfino gente che scrive: siamo 3-0, vogliamo il 5-0. La conclusione di Corona, continuando a parlare con altri ragazzi dello Zen, è che il problema non riguarda soltanto la periferia degradata di Palermo, ma tutti gli adolescenti “Che ormai girano con le pistole.”
