La storia raccontata da Corona è a dir poco assurda, nel suo essere vera. La parte seconda di Falsissimo - Adolescence è un ribaltone, e il vero bersaglio dell'inchiesta non sono nemmeno tanto le baby gang di tredicenni in un paesino della profonda provincia, e neanche le famiglie mafiose del luogo che hanno interferito con la puntata. Sono attrezzi, strumenti che Corona usa per colpire al centro ciò che sta davvero mirando: il giornalismo italiano. La causa efficiente e la causa finale spesso coincidono, se vogliamo scomodare Aristotele: ciò che aveva dato il via all'inchiesta diventa il vero fine di tutto il viaggio di Corona a Noha. La notizia data da Repubblica, poi ripresa da tutti: gruppo di ragazzini violenti picchia un disabile. Indignazione generale, sociologia spicciola, sgomento. La parte seconda, quella a pagamento, di Falsissimo episodio Nove smantella tutto. Caz*ate, clickbait, populismo. La vittima non era disabile, e non era nemmeno vittima. Ci sono i video, le testimonianze, le parole dei concittadini. La prima parte della puntata, in realtà, è più un recap della precedente. Corona fa il Corona, va in giro per Noha, la gente lo cerca, lo acclama. Qualcuno lo guarda male, ci litiga, fa brutto ad altri che lo seguono in macchina, al barista, fa vedere che cerca la famiglia Coluccia, entra a fare pipì a casa di due vecchietti, vicini di Rosario Geusa, il ragazzo del pestaggio. Parla con due ragazzine che gli danno un indizio fondamentale: “Castimare i morti.”



Tradotto dal dialetto leccese, gli spiegano le ragazze, significa insultare i defunti. Abbreviato dai ragazzini sui social, cm, e questo ci riporta alla rissa, a quello che in prima istanza era uscito su tutti i giornali come la rabbia del branco contro un disabile. Amin, la presunta vittima, avrebbe in realtà “castimato i morti” a Rosario. E c'è di più. Nella seconda parte, quella a pagamento, Corona raccoglie altre testimonianze di coetanei, che gli spiegano che in realtà Amin è amico di Rosario, escono insieme, fa parte della baby gang. Un ragazzo riferisce che Amin “Lo ha picchiato e mandato in ospedale, che ruba nei tabaccai col passamontagna e i coltelli, che usa spesso le mani anche contro le compagne di classe” e cose del genere. Il quadro si ribalta, e il senso di tutta l'inchiesta diventa ben più grande di un semplice caso di cronaca locale ingigantito dalla retorica del branco, dei ragazzi difficili, del degrado.

La gita in Puglia di Corona assume la portata di una domanda cruciale: ma ci prendono per il cu*o? Cosa fanno i giornalisti? Non verificano nulla? Conta soltanto più lo storytelling? La fidanzata di Amin castima i morti a Corona perché ha paura che faccia uscire la verità sul fidanzato, si parla di Sticchi Damiani, sindaco di Lecce, che ingannato dalla narrazione iniziale porta Amin allo stadio con la maglia del Lecce, il ragazzo si presenta con le stampelle sebbene, confermano le fonti, “Non avesse nessun problema.” Arriva il video con tutti i protagonisti della storia, risalente a una settimana prima del pestaggio, in cui Amin e Rosario fanno i bulli tra loro, con un altro ragazzo di 15 anni, con il mondo. Il caso è chiuso, “Amin se le cerca”, ma forse era fin troppo facile. Quello che rimane aperto è il problema dei click, delle notizie non verificate perché tanto quello che conta è l'impatto emotivo. Come spiega Corona, in un accesso di serietà quasi accademica: “L'utilizzo dei fenomeni mediatici distorti, che sfruttano il populismo come forma di compiacimento e di miglioramento, di rafforzamento della propria immagine, in Italia raggiunge livelli incredibili.” Può bastare. Mai fidarsi della retorica: questa la lectio magistralis di Corona.
