La polemica del Primo maggio scuote l’Italia, dimostra che gli israeliani sono un popolo disperato, che si affida a scelte estreme e mi fa sentire un “Patagarro” e un antifascista italiano. Un proiettile maledetto ha ucciso un uomo ormai più di 30 anni fa e ha condannato due popoli che non trovano più speranza. Lì i bambini fanno paura ad uno Stato che li uccide senza pietà: non un incubo di chi ha mangiato male o un futuro distopico, ma una cruda realtà. Sul parco del Concertone salgono i “Patagarri” e, a dispetto del nome giocoso e goliardico, portano in scena un urlo disperato in due lingue, inglese e italiano, per dire “Free Palestine-Palestina Libera”, sulle sonorità di “Haga Nagila”.
Si tratta di una canzone popolare ebraica, ispirata a una melodia ucraina (corsi e ricorsi storici di terre dilaniate…), scritta nel 1918 da Abraham Zavi Idelsohn e dedicata a celebrare la vittoria inglese in Palestina e la “dichiarazione Balfour”, che prevedeva la spartizione dell’impero turco ottomano e la creazione in Palestina di uno Stato ebraico, senza pregiudicare i diritti dei palestinesi.

“Appropriarsi della nostra cultura, delle melodie a noi più care, per invocare la nostra distruzione è ignobile. C’è qualcosa di davvero macabro nell’esibizione dei Patagarri”, ha attaccato duro Victor Fadlum, presidente della Comunità ebraica di Roma. Come è possibile che dire libertà per la Palestina e fine delle morti dei bambini, che vediamo quotidianamente (anche se la nostra televisione mainstream censura) sia conciliabile con la distruzione di Israele? Possono dei bambini minacciare una nazione dotata di missili nucleari? La risposta semplice ed ovvia è no; nella realtà, invece, è si!
Prima di addentrarci in una riflessione scomoda ricordiamo a Fadlum che le canzoni appartengono a chi le condivide e a chi ci entra in empatia: Idelsohn usò una melodia ucraina, così come “Fischia il vento”, celebre inno partigiano con le parole ideate da Felice Cascione, prende le note della canzone russa Katiusa. Si metta il cuore in pace il nostro caro Presidente della comunità ebraica di Roma: la canzone è di chi cerca e vuole speranza, non certo dell’attuale Israele. Sono orgoglioso dei “Patagarri” e mi sento uno di loro: un italiano della Repubblica! E veniamo al punto dolente: la disperazione di uno Stato! Israele è condannata dal 1995 quando un “nulla cosmico”, tale Yigal Amir, giovane studente ed estremista di destra vicino al Likud (partito attualmente al Governo con Benjamin Netanyahu) sparò alle spalle ad un grandissimo uomo, Yitzhak Rabin, che un anno prima aveva ottenuto il Nobel per la pace e stava portando Israele finalmente a una politica di integrazione in Medio Oriente con la creazione di due Stati vicini. Non era un uomo qualunque Rabin, anche se in Israele sembrano averlo dimenticato: era stato capo di Stato Maggiore nella Guerra dei Sei Giorni, era stato un grande soldato ed era un grandissimo uomo di Stato.

Non era, soprattutto, uno stupido. Aveva capito che il futuro del Paese bianco azzurro poteva essere assicurato solo con una forte alleanza con Giordania, Libano, Siria, Egitto e Palestina. I terroristi sono stati sempre degli eroi quando hanno avuto la scusa delle ingiustizie da abbattere, si sono trasformati in criminali quando la società civile li ha trovati inutili perché c’era benessere. Questo Rabin l’aveva capito e aveva compreso che Israele poteva essere lo Stato giusto a guidare la regione verso un benessere condiviso. La destra nazionalista, il Likud, non condivideva, ma non contava: erano troppo piccoli per avere credito in confronto all’eroe della nazione: Netanyahu non poteva nemmeno legargli le scarpe.
Quel proiettile maledetto e la morte di Rabin hanno spianato la strada alla salita al potere del leader del Likud, Benjamin Nethaniyau, soprannominato “Bibi”, un soprannome dato ai bambini. Evidentemente questo bel bimbo non è cresciuto mai.
“Bibi” ha guidato Israele dal 1996 al ‘99 e dal 2009 al 2024 in una discesa agli inferi e all’orrore senza fine, portandolo sempre più a destra. Ha tolto qualsiasi speranza di pace, interrotto qualsiasi dialogo e messo gli israeliani con le spalle al muro: vincere o sparire! Vi ricorda qualcosa? In Europa di “Bibi” ne abbiamo avuti tanti, tantissimi, troppi. Tutti impegnati a salvare il loro Paese dagli assalti degli altri, tutti che hanno ottenuto lo stesso risultato: distruggerlo. Hamas è stata la sua benedizione. Inutile affermare che con Rabin un “7 ottobre” non si sarebbe mai verificato. Questo lo sanno anche i sassi. La realtà è che gli israeliani, da bravi ricchi occidentali, non fanno più figli, mentre i palestinesi si: non serve un pallottoliere o l’iPhone con tre telecamere per immaginare che fra 50 anni la maggioranza dei cittadini in Israele sarà arabo palestinese. Tutti l’hanno capito e tanti hanno abbracciato la “soluzione finale” proposta da Bibi, ovvero l’annientamento di Gaza e la cacciata dei palestinesi, creando una specie di fortino atomico israeliano in Palestina: una follia.

Ora è facile comprendere l’affermazione fuori da ogni logica di Victor Fadlum, l’odio inumano verso i bambini e i civili, la perdita di qualsiasi rimorso o sentimento di fratellanza e la visione di ogni piccolo essere umano, ogni bambino, come una minaccia al proprio Stato. Israele è disperato e alle corde, eppure continua ad affidarsi alla “soluzione Bibi”. In questo momento Israele ha al suo fianco i potenti, i loro lacchè. Gli altri, i normali, guardano i bambini morti e non possono che essere con la Palestina e cantare “Haga Nagila”, che vuole dire “Rallegriamoci”.
Israele ha un bisogno disperato di normalità e speranza. Tutto le serve tranne la guerra e le mani sporche di sangue innocente, tutto tranne la soluzione Bibi. Caro Fadlum, da bravo italiano normale dovrebbe poter cantare con i “Patagarri” e con tutti: “Libertà per Israele e libertà per la Palestina”, perché sangue chiama sangue, orrore chiama orrore e la pacificazione, il massacro dei nemici, non è pace: è l’inizio dell’inferno.
