Gira sul web la foto di alcuni libri trovati alla libreria Feltrinelli di piazza Piemonte a Milano. Sono i libri di Fiamma Nirenstein, La guerra antisemita contro l’Occidente (Giubilei Regnani, 2025) e di Isaac Bashevi Singer, Viaggio in Israele (Giuntina, 2025). Non girano tanto per il loro tema, ma per le conseguenze di scrivere di questo tema. Sopra alla copertina dei libri è stato attacco un adesivo: “Questo prodotto uccide”. Il Qr code che accompagna questa frase scritta da infami non è più attivo, quindi non sapremo mai perché, esattamente, il libro di un classico della letteratura e quello di una giornalista uccidano. Probabilmente sarà una motivazione generica, buona per qualsiasi prodotto, giudicato inaccettabile dai militanti pro-Pal.
Ma per criticare Israele bisogna diventare antisemiti? Lo diceva Martin Amis anni fa, prima del 7 ottobre: la sinistra quando parla di Israele impazzisce. Si tratta di antisemitismo secolarizzato. Anche se è vero solo a metà. L’altra metà della storia è scritta in Gli ebrei del mondo arabo dello storico Georges Bensoussan (anche questo pubblicato da Giuntina). Oggi Melenchon, in un’intervista al Corriere, lo nega, ma non è mai stato così evidente: la ricerca del consenso nel mondo arabo, nelle sacche più povere della società, tra i gruppi marginalizzati, spinge la sinistra ad avvicinarsi al mondo arabo, alla Weltanschauung araba. Dunque l’antisemitismo della sinistra non è poi così secolarizzato o nuovo. Non è un antisemitismo di cui non si sa nulla che si nutre dell’antisionismo laico. È, al contrario, un antisemitismo arabo, storico, religioso, di cui l’antisionismo moderno si nutre.
Nasce prima l’antisemitismo, poi l’antisionismo. E nulla lo rende più palese di un adesivo sopra a un libro, in una libreria. Si infrangono le barriere tra il dibattito pubblico, culturale, e l’azione politica. Si marchiano i libri per marchiare gli autori (in questo caso l’autrice, l’unica dei due vivente), ma soprattutto per marchiare le idee. E in effetti oggi è impossibile prendere le parti di Israele senza passare per suprematista e complice del “genocidio in corso”. E, attenzione, non basta criticare quanto accade da un anno e mezzo a oggi, serve buttare nel fiume l’intera storia di Israele, settant’anni di conflitti, ma anche di progresso civile, di ricerca, di prosperità.

Un amico poeta, molto seguito, lo ha detto bene: bisogna boicottare non solo le multinazionali che hanno rapporti commerciali con Israele, ma anche chiunque non rigetti l’intera storia di Israele, anzi, chiunque non la pensi esattamente come in una data maniera, addirittura chiunque non abbia una posizione chiara sull’argomento ma collabori con giornali che hanno all’interno della redazione qualche filoisraeliano. E poi bisogna chiedere la cancellazione di Israele per uno Stato palestinese dal fiume al mare. Non stento a credere che una persona come lui, colta, dentro agli ambienti militanti, che difficilmente parla solo per sé o senza avere alle spalle l’appoggio della sua parte, che mai va tradita o irritata, rappresenti bene i sentimenti di chi imposta azioni come quella che porta a marchiare libri di autori ebrei.
È una forma di fanatismo politico che costituisce le premesse per il terrorismo politico. Da qui la simpatia per Hamas, visto come forza di resistenza, quando fraintendono completamente il significato che il gruppo terroristico dà a parole come “libertà” e “occupazione” (non sono, infatti, contro l’occupazione di Israele perché espressione di colonialismo, come vorrebbero i colti di sinistra in Europa e America; ma sono contro la presenza su un territorio promesso ai musulmani di una comunità di infedeli, gli ebrei appunto; si veda il manifesto del 1988 di Hamas, articolo 11). Dice molto anche della concezione della libertà di stampa, visto che il mercato editoriale e le librerie sono invase quasi esclusivamente da libri antisraeliani e pro-Pal.
