Quanto è vero quel che diceva Carlo Maria Cipolla nel suo trattatello del 1988, Le leggi fondamentali della stupidità umana: esistono più stupidi di quel che crediamo e possiamo trovarli ovunque, anche tra i Pulitzer. Tuttavia, il poeta palestinese Mosab Abu Toha, premiato quest’anno per il miglior commento grazie a quattro saggi, non è tra loro. Legge aurea della stupidità (la terza) è infatti questa: “Una persona stupida è una persona che causa un danno ad un'altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé od addirittura subendo una perdita”. Allora forse si potrebbe dire che è tra gli organizzatori e tra coloro che assegnano il Pulitzer che si annidano i veri stupidi, che nulla hanno da guadagnare da un “commentatore” e giornalista negazionista. È anche partita una petizione contro la premiazione: Mosab Abu Toha, infatti, non è solo un poeta che ha raccontato per il New Yorker la tragedia palestinese, ma anche uno scrittore molto attivo sui social, solo che quelli del Pulitzer non se ne sono accorti. Non hanno visto, per esempio, che Abu Toha ha negato o minimizzato la presenza di ostaggi nelle prigioni di Hamas dopo il 7 ottobre, sostenendo che le persone poi rilasciate fossero o soldati, o amici di soldati (e quindi complici) o semplici civili, vero, ma trattati bene.
L’accusa arriva proprio da un ex ostaggio, Emily Damari, per 15 mesi in mano a Hamas:
“Cari membri del consiglio direttivo dei Pulitzer Prizes, mi chiamo Emily Damari. Sono stata tenuta in ostaggio a Gaza per oltre 500 giorni. La mattina del 7 ottobre, ero a casa nel mio monolocale nel kibbutz Kfar Aza quando i terroristi di Hamas hanno fatto irruzione, mi hanno sparato e mi hanno trascinata oltre il confine, a Gaza. Ero una dei 251 uomini, donne, bambini e anziani rapiti quel giorno dai loro letti, dalle loro case e da un festival musicale. Per quasi 500 giorni sono stata affamata, maltrattata e trattata come se fossi meno che umana. Ho visto amici soffrire. Ho visto la speranza affievolirsi. Quindi immaginate il mio shock e il mio dolore quando ho visto che avete assegnato il Premio Pulitzer a Mosab Abu Toha. Quest’uomo, a gennaio, ha messo in dubbio il fatto stesso della mia prigionia. Ha pubblicato un post su di me su Facebook e ha chiesto: ‘Come diavolo si fa a chiamare questa ragazza ostaggio?’”

Per un commentatore la logica dovrebbe essere importante (la differenza tra la cronaca e l’opinione non è forse dare importanza alle notizie nel primo caso e dare importanza al modo di ragionare sopra le notizie nel secondo?). La domanda da porre a Abu Toha, e che il Pulitzer avrebbe potuto farsi prima di scegliere chi premiare, è questa: davvero Emily Damari è stata catturata come prigioniera militare e non come ostaggio civile? Se sì, allora Hamas aveva i dettagli e le informazioni per poter catturare solamente soldati dell’Idf che dormivano nelle loro case, come Damari; perché prendere come ostaggi anche civili, tra cui donne e bambini?
Abu Toha non di rado, comunque, si è concesso licenze poetiche nel modo di gestire le notizie. Lo ha fatto una seconda volta con un altro ostaggio, Agam Berger, 19 anni, militare dell’Idf.

“L’ostaggio israeliano Agam Berger, rilasciata giorni fa, partecipa alla cerimonia di diploma della sorella in un corso per ufficiali dell’Aeronautica militare israeliana. Questi sono coloro per cui il mondo vuole esprimere solidarietà, assassini che si arruolano nell’esercito e hanno parenti nell’esercito!”. Vale quanto detto per Damari.
Non basta. A febbraio del 2022, quando vennero rilasciati i corpi della famiglia Bibas, Abu Toha mise in dubbio la causa della morte. I corpi dei due bambini, Kfir e Ariel (9 mesi e 4 anni) uccisi insieme alla madre, Shiri Bibas erano stati riconsegnati da Hamas (il corpo della madre venne riconsegnato a giorni di distanza; prima Hamas aveva dato all’Idf il cadavere di un’altra donna, che però non era Shiri). Mentre Israele sosteneva, dopo averli identificati e dopo un’analisi forense, che fossero stati uccisi “a mani nude” dai rapitori, Hamas sosteneva invece che a ucciderli fosse stato uno dei vari bombardamenti israeliani su Gaza. Indovinate a quale delle due versioni Abu Toha non credeva? Quella di Israele ovviamente.

Abu Toha ha anche messo in dubbio ripetutamente le testimonianze di chi ha raccontato le torture durante la prigionia a Gaza. Per Abu Toha non ci sarebbero prove evidenti (come dei segni sul corpo) di torture. Peccato che uno dei testimoni, Eli Sharabi, liberato dopo 471 giorni, pesasse solo 44 chili, la metà del suo peso corporeo e meno della sua figlia più piccola. Forse Abu Toha la considera una dieta drastica e non una tortura? Sharabi ha anche raccontato la sua esperienza al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite: “Per 491 giorni sono stato tenuto sottoterra nei tunnel del terrore di Hamas, incatenato, affamato, picchiato e umiliato. Sono sopravvissuto con avanzi di cibo, senza cure mediche e senza pietà”.

Minimizzare la violenza di Hamas non è, in ogni caso, solamente il suo lavoro sui social (il 7 ottobre Abu Toha raccontava dei primi bombardamenti israeliani, ma non una parola sull’attacco di Hamas in nessuno dei suoi canali). Anche negli articoli premiati il nome del gruppo terroristico che il 7 ottobre diede inizio all’’Operazione “Alluvione Al-Aqsa” che portò alla morte di 1.200 ebrei tra soldati, civili e forze dell’ordine (oltre ai 250 rapimenti di cui si è parlato), compare solo due volte in quattro lunghi pezzi che avrebbero dovuto raccontare la tragedia di quei giorni. Due volte, in riferimento all’attacco del 7 ottobre, e in entrambi i casi in contrapposizione alla malvagità di Israele. “Quando Hamas attaccò Israele il 7 ottobre 2023, tre generazioni della mia famiglia vivevano insieme sotto lo stesso tetto. Cinque giorni dopo, le forze israeliane lanciarono volantini che ci intimavano di evacuare la zona”. E poi: “Anche quando le forze israeliane iniziarono l'offensiva del 2023, in seguito all'attacco di Hamas del 7 ottobre , potevo comprare un chilo di pane per circa un dollaro. L'UNRWA contribuì a mantenere basso il prezzo prelevando sacchi di farina dai depositi e distribuendoli ai panifici. Dopo l'invasione israeliana, tuttavia, le file per il cibo iniziarono ad allungarsi; nulla poteva passare attraverso i confini settentrionali di Gaza. Spesso aspettavo ore per comprare qualche pagnotta, e quando i panifici erano a corto di carburante a volte tornavo a mani vuote. E quando lessi dei raid aerei che avevano distrutto i panifici a Gaza City e nella zona centrale di Gaza, iniziai ad avere paura di mettermi in coda”. Le cose brutte accadono sempre dopo la risposta di Israele, mai dopo l’attacco di Hamas. Sono le forze israeliane che lanciarono i volantini, l’invasione da parte di Israele… non il pogrom ebraico di Hamas. Ma anche questo deve essere sfuggito al Comitato del Pulitzer.
