Ci siamo svegliati tutti tredici giorni fa, mercoledì 23 febbraio, con le notifiche di un blitzkrieg russo in Ucraina, e abbiamo subito pensato al peggio. Morte, disperazione, miseria - e, per noi occidentali vicini al conflitto ma non fisicamente coinvolti, ansia. Di guerre in questi anni ne abbiamo viste tante - Siria, Afghanistan, Gaza - o comunque guardato abbastanza video per metterci in testa che la maggior parte dei conflitti si combattono ormai con i droni, con le intelligenze hi-tech e gli attacchi intelligenti. Sarà forse anche per colpa dei videogiochi e di Cod che, finora, a noi occidentali, ha trasmesso l’unica vera forma di guerra reale, ma ci sembra strano che oggi si possa combattere ancora una guerra con mitragliatrici e non con una remota panic room. Non per altro, per il conflitto in Ucraina da subito si è parlato di cyber war - anche a causa degli aiuti in criptovalute e degli attacchi di Anonymous.
Teoricamente, come hanno sottolineato testate come il Financial Times e l’Economist, la differenza bellica tra i due eserciti è schiacciante sia per unità di terra che mezzi militari in favore dei russi. Eppure, a poche decine di chilometri da Kiev, sono parcheggiate colonne di carri armati piene di uomini che rischiano di morire di ipotermia a causa delle temperature artiche in arrivo in queste ore. Infatti, come sottolineano i media internazionali, sono previste temperature fino a -20° e il rischio di morire di freddo dentro dei mezzi pesanti, ovviamente senza sistemi di riscaldamento a meno che non si tenga acceso il tank, è abbastanza concreto. O meglio, è tale se il comando è quello di stare fermi, seduti, ad aspettare a quelle temperature. Per dire, a Kharkiv, sono stati registrati l'altra notte -10°, arrivando a -20° considerando anche il vento. Al Daily Mail, l’ex maggiore dell’esercito inglese Kevin Pence ha detto che in quelle condizioni i carri armati possono diventare dei “congelatori da 40 tonnellate” all’abbassarsi delle temperature. I soldati invasori catturati dalle forze ucraine si sono lamentati della mancanza di cibo, carburante e in generale di un piano di battaglia dettagliatamente strutturato, con condizioni destinate a peggiorare nei prossimi giorni. Un articolo di Cecilia Sala, inviata del Foglio in Ucraina, in cui si parlava di una conferenza stampa in cui i soldati catturati denunciano la totale disorganizzazione dell’esercito e l’errore che questa guerra è stata. Erano catturati e disposti a tutto per salvarsi, certo, ma gli si crederebbe lo stesso anche senza i fucili ucraini puntati. Che finora, secondo le dichiarazioni del governo di Kiev, hanno fatto fuori almeno 12.000 soldati russi e distrutto trecento mezzi militari. Chissà se il freddo aiuterà l’esercito di casa.
Anche se, purtroppo, il freddo è anche quello che colpisce i corridoi umanitari. Le fughe della popolazione ucraina verso l’esterno del Paese, che oggi hanno ricevuto un giorno di assenza di attacchi grazie ai negoziati, è martoriata dal freddo e dalla neve (quando non ci sono le bombe e i proiettili). Difficoltà nel muoversi, difficoltà nel comunicare, difficoltà nell’avere una speranza, in certi casi. Perciò quel freddo che tanto può ferire l’esercito russo, tanto può deteriorare la già grande miseria dei profughi ucraini.
Nessuno, poi, avrebbe mai pensato che nel 2022, con la geolocalizzazione perenne di qualsiasi dispositivo, i russi si sarebbero davvero persi per le campagne ucraine. La strategia difensiva dell’esercito di Zelensky ha funzionato: invertire o togliere i cartelli, far saltare i ponti, sconquassare le strade, hanno portato davvero in certi casi i russi alla deriva.
Un altro fatto curioso è che, sempre nell’ottica di un confronto fra quello che ci aspettiamo da una guerra del ventunesimo secolo e quella che è la realtà, i russi hanno mandato spie in stile Guerra fredda a vivere in Ucraina. Come ne Il ponte delle spie, ci sono sabotatori russi - chiamati Spetsnaz - che da mesi vivono in Ucraina confondendosi tra gli abitanti locali, spiando e comunicando i piani del nemico a Mosca. Insomma: ci aspettavamo una guerra chimica, e invece mandano le spie. Ci aspettavamo una guerra con i droni e una signora ucraina ne abbatte uno con un barattolo di pomodori.
Però allora mi chiedo: di tutte le etichette che abbiamo voluto mettere a questa guerra, ce n’è una giusta? TikTok war, social media war, trolley war - questa è nuova: perché la gente fugge con le valige e non con i fagotti come i siriani -, addirittura anche di boomer war - perché sarebbe un conflitto voluto solo dalle grandi generazioni di russi, con il vecchio botulinato Putin come leader. Come ha detto su questa rivista il fotoreporter Luigi Baldelli, la guerra è la stessa ovunque. Che si tratti di Siria o Donbass, di caccia agli armeni casa per casa o di armi da film sci-fi, il freddo, la paura e la morte sono gli unici file rouge che legano tutte le guerre. E nel 2022 hanno dimostrato di essere più potenti anche delle armi tecnologiche.