L’Europa, in due anni, si è trovata in una situazione critica: si è rotta ogni posizione negoziale con la Russia sui rapporti economici, drammatica per un continente dedito a commercio e industria come il nostro; si è amplificata la subalternità del Vecchio Continente a Washington nel campo occidentale; i proxy di Usa e Regno Unito nell’Ue (Polonia e Stati baltici) e i battitori liberi (Ungheria e ora Slovacchia) ammiccanti a Putin hanno aumentato le spinte centrifughe sul fronte geopolitico. Soprattutto, si è rotta la pax che vigeva dal 1945, turbata solo dalla drammatica coda della fine della Jugoslavia: no a tensioni tra Stati e conflitti maggiori di tipo convenzionale nel Vecchio Continente. Il “ritorno della Storia” ha colto l’Europa in contropiede. Il problema di base resta quello dell’assenza di un’Europa-potenza capace di essere la seconda gamba del campo occidentale. L’Ucraina ha dimostrato come siano pochi, nei vertici Ue, a pensare a un’Europa con visione sistemica. Lo pensava il compianto David Sassoli, che oltre a decimali e regole di bilancio dal suo scranno di Presidente del Parlamento Europeo dissertava di difesa comune e autonomia strategica. Ne parla Thierry Breton, lungimirante commissario europeo all’Industria, inteso soprattutto a parlare di Europa come metonimia della sua Francia. Ne ha provato a discutere alcune volte il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel, soprattutto per riprendere le fughe in avanti della collega della Commissione, Ursula von der Leyen, ortodossa nel suo atlantismo e occidentalismo a sostegno della linea Usa contro la Russia e la Cina e di quella di Israele contro Hamas.
La “colpa” più grande di Vladimir Putin relativamente ai rapporti con l’Europa è stata proprio la spinta a appiattire un Vecchio Continente privo di ampio respiro geopolitico e di un ruolo nelle crisi globali sulla linea Usa. Del resto, rapporto tra l'Unione Europea e gli Stati Uniti è stato caratterizzato negli ultimi anni da alti e bassi, con una combinazione di divergenze e momenti di collaborazione. L'invasione russa dell'Ucraina ha rafforzato giocoforza l'unità tra le due sponde dell'Atlantico, ripristinando una sinergia che sembrava essere un lontano ricordo, soprattutto dopo la presidenza di Trump. Il pieno sostegno degli Stati Uniti a Kiev, il fallimento dell'asse franco-tedesco nel frenare l'escalation prima della guerra, la speciale relazione tra gli Stati Uniti e il Regno Unito e la loro proiezione nell’Europa post-comunista, e il controllo della strategia europea da parte della Nato hanno riportato gli Stati Uniti al ruolo di leader riconosciuto del blocco occidentale, compreso il Vecchio Continente. La distanza si è fatta evidente nel prosieguo della guerra condotta dalla Russia contro Kiev, che ha generato contraddizioni esplosive, portando a una fase di inquietudine nell'economia globale. L’uso geoeconomico della guerra in Ucraina da parte di Washington per conquistare un vantaggio industriale, competitivo e produttivo sull’Ue è parso evidente. In questa situazione, Washington ha spesso tratto vantaggio a spese dell'Europa, che è risultata fortemente danneggiata durante il biennio di sfide militari ai suoi confini orientali e ha visto emergere significative contraddizioni con il suo principale alleato.
La politica industriale, finanziaria, la disputa tariffaria e la questione dell'equità nei rapporti economici transatlantici rappresentano attualmente punti di confronto aperti tra Bruxelles e Washington. Questi temi sono destinati a plasmare il futuro di una relazione speciale e inevitabile, ma che oggi appare sempre più sbilanciata. Possibili catalizzatori di ulteriori tensioni potrebbero essere le decisioni di "ingegneria" industriale dell'amministrazione Biden, evidenziate dall'Inflation Reduction Act e dal Chips Act. Tali politiche mirano a promuovere gli investimenti nelle tecnologie verdi per l'energia pulita e nei semiconduttori, con un particolare sostegno agli investimenti negli Stati Uniti e alle imprese statunitensi. L'Unione europea ha cercato di mitigare la dipendenza dal gas russo acquistando gas americano, ha applicato severe sanzioni contro Mosca e ha seguito gli Stati Uniti nell'aumento dei tassi per contrastare l'inflazione, anche a scapito delle sue prospettive di sviluppo. Ora si trova in una posizione delicata tra la minaccia russa e l'orientamento isolazionista degli Stati Uniti. In un contesto in cui le dinamiche economiche globali sono sempre più intrecciate con le questioni geopolitiche, gli Stati Uniti possono emergere come leader plasmando una politica industriale globale che coinvolga le migliori risorse europee come parte integrante dell'Occidente nelle sfide di frontiera contro la minaccia cinese. Dall'altra parte, l'Europa deve assumersi la responsabilità dell'autonomia strategica, sviluppando i suoi settori di punta indipendentemente dal contributo che Washington può offrire. Questo principio si applica a settori come le energie pulite, i semiconduttori, le telecomunicazioni e la difesa, in cui la pressione americana è meno avvertita: l'autonomia è presupposto per la sovranità, la sovranità garantisce la sicurezza e, sul lungo termine, la sicurezza significa prosperità. Quella prosperità che la crisi della Germania, oggi più evidente che mai, mostra esser in bilico per l’Europa intera. Anche a causa della tempesta d’Ucraina. Le cui conseguenze possono essere generazionali se non si troverà modo di rompere il torpore che ci pensa, ancora, fuori dalla storia.