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Altro che “Succession” e “The Bear”, date un Emmy a “Better Call Saul”: com’è possibile che su 53 candidature non abbia mai vinto?

  • di Domenico Agrizzi Domenico Agrizzi

16 gennaio 2024

Altro che “Succession” e “The Bear”, date un Emmy a “Better Call Saul”: com’è possibile che su 53 candidature non abbia mai vinto?
Gli Emmy Awards 2024 hanno celebrato le vittorie di “Succession” e “The Bear” (sei statuette ciascuno), la presenza italiana con Sabrina Impacciatore e Simona Tabasco per “The White Lotus” e la buona prestazione della miniserie “Beef”. La vera sconfitta, però, è quella di “Better Call Saul”, la serie spin-off di “Breaking Bad” che ha raggiunto il record di non-vittorie agli Emmy: 53 nomination e altrettante sconfitte. Ma com’è possibile che un capolavoro del genere abbia sempre perso? Ecco perché “Better Call Saul” rimarrà comunque nella storia

di Domenico Agrizzi Domenico Agrizzi

Un furto degno di un film di Guy Ritchie. A essere derubata è la serie Better Call Saul, mentre i ladri sono, ancora una volta, la cinquantatreesima, i giurati degli Emmy Awards, la cerimonia che premia le migliori serie e specialità televisive. Cinquantatré sono le volte in cui Better Call Saul è stata nominata per un premio: in ognuna di queste occasioni è uscita sconfitta. Grande protagonista della serata degli Emmy 2024, oltre all’onnipotente Succession, è stata The Bear con Jeremy Allen White, premiata come miglior serie comica. C’erano anche le nostre Sabrina Impacciatore e Simona Tabasco per The White Lotus e l’outsider Beef, che ha conquistato cinque premi, tra cui miglior miniserie. Niente da fare: Better Call Saul è di nuovo rimasta nelle retrovie. Ma com’è possibile che un capolavoro del genere passi sempre in sordina? Nata da una costola di Breaking Bad (è uno spin-off della saga principale con Bryan Cranston), la serie con Bob Odenkirk riesce a mantenere alto il livello della storia madre. Al centro c’è lui, Jimmy McGill, e la sua parabola (se sia un’ascesa o la caduta lasciamo a voi stabilirlo) che lo porterà a diventare Saul Goodman il criminale, l’avvocato dei cartelli, il latitante. Siamo, dunque, nella fase in cui Jimmy è il grigio burocrate che lavora nello studio legale del fratello. Riesce poi a diventare avvocato difensore, ma solo dei clienti a basso reddito. L’avvocato degli ultimi. Una vita stancante, insoddisfacente, ma comunque a colori. A questa linea temporale se ne sovrappone un’altra, rivolta al futuro in cui Jimmy ha già oltrepassato i cancelli dell’illegalità ed è diventato Gene Takavic per sfuggire all’arresto: qui il mondo è in bianco e nero. In due colori, così è la dimensione del crimine. Amico o nemico, preda o cacciatore, cadavere o carnefice. Non c’è spazio per le sfumature. O almeno così può sembrare a una prima lettura. È proprio Bob Odenkirk, accompagnato nel corso delle sei stagioni da Giancarlo Esposito e Tony Dalton, a rendere meno netta la distinzione tra bene e male. In realtà, è Mike Ehrmantraut (Jonathan Banks) a sintetizzare il taglio di “Better Call Saul”: un criminale non è un uomo cattivo, ma uno specialista, ovvero colui che sa abitare le zone grigie, giocare con le ambiguità, stare nell’interstizio. Né paradiso né inferno, solo pragmatismo. Chi meglio di un avvocato può incarnare una simile figura. E chi, di nuovo, meglio di Bob Odenkirk.

Better Call Saul
Jonathan Banks e Bob Odenkirk in "Better Call Saul"

Niente da fare, quel numero, cinquantatré, continua a ronzarci in testa. Premi come miglior attore, miglior attore non protagonista, miglior serie drammatica: Better Call Saul non li ha mai vinti. Otto anni, sei stagioni, sessantatré episodi che non hanno fatto rimpiangere l’inarrivabile Breaking Bad, eppure ancora gli Emmy non si sono accorti di ciò che si sono lasciati alle spalle? Better Call Saul poteva solo sbagliare, scimmiottando il suo predecessore. Invece, le back story di Ehrmantraut, Gus Fring e Lalo Salamanca colgono nel segno. Ma si sa, non sempre vincono i migliori. Dicevamo: Succession, concorrente reale di Better Call Saul, dato che correva nelle stesse categorie, sta demolendo gli avversari. Lo aveva fatto ai Golden Globe 2024 e si è confermata agli Emmy, dove ha vinto sei statuette. Il trionfo stavolta è condiviso con The Bear (sei statuette), con protagonista Jeremy Allen White che, dopo gli shooting “golosi” per Calvin Klein e i ruoli vincenti in Shameless e The Warrior – The Iron Claw, è nel “prime” della sua carriera. Il momento d’oro per lui prosegue anche fuori dagli schermi: pare che si stia frequentando con la cantante Rosalía. Solo vittorie. Sta a noi, quindi, dare voce agli sconfitti, specie se non se lo meritano. Better Call Saul non doveva perdere per cinquantatré volte. Questo, però, non significa escluderla dalla storia. Zlatan Ibrahimovic non ha mai vinto la Champions League, l’Olanda di Johan Cruijff è rimasta senza Mondiale e Roger Federer ha vinto solo un argento alle Olimpiadi nel singolo: anche a loro è mancato il coronamento di carriere mostruose. Resta il racconto di queste imprese, dunque. Una magra consolazione, probabilmente. Ma è la parola ciò che rende indelebile l’evento, mentre un premio diventa facilmente un soprammobile impolverato.

Better Call Saul
"Better Call Saul"

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