Tra meno di un mese saranno trascorsi quarantuno anni dalla scomparsa di Emanuela Orlandi, da quel caldo pomeriggio d’estate del 22 giugno 1983. Una giornata all’apparenza come le altre, ma che in realtà avrebbe cambiato tutto. Per sempre. Emanuela prima di sparire telefona a casa, parla con la sorella. Poi più niente, poi mai più. Su cosa accade in quelle ore è stato detto tutto e il contrario di tutto, non si contano nemmeno più le illazioni e i depistaggi. Tutto sulle spalle di una famiglia che è andata avanti sopportando uno dei dolori più grandi: il non sapere, il non avere nemmeno la possibilità di piangere sulla tomba della propria sorella e figlia. La gente, vittima della cronaca che fantastica e ricama sulla vita delle persone, a volte dimentica che dietro l’immagine di quella ragazza con la fascetta nera c’era una vita reale. Sogni, speranze. Con il rintoccare dell’anniversario si sta muovendo puntuale, proprio come lo scorso anno con la vicenda di Wojtyla, la macchina del fango verso Pietro Orlandi, l’inarrestabile fratello di Emanuela. Disposto, a ragione, ad andare contro tutto e tutti pur di arrivare alla verità: “Come avevo previsto, da dopo la mia convocazione in Commissione, qualcuno si prepara al solito lancio di fango e tentativi di screditare il sottoscritto con la solita lista di falsità. Stanno uscendo, e saranno sempre di più, articoli di siti mai sentiti fino a poco tempo fa, siti che posso tranquillamente definire siti di mer*a, con articoli di mer*a, dei soliti giornalisti di mer*a. Con le solite insinuazioni sulla famiglia tutta, non solo su Emanuela e questo certo è significativo perché si continua con la necessità di creare problemi alla Commissione. Questa gente frustrata è perversa nel cervello, perché quando un giornalista, il capo dei buffoni, che scrive nel suo ultimo articolo che fare sesso con una quattordicenne non e' reato, e quindi Emanuela avendo quindici anni se fosse accaduto non è reato. Sarebbe da arrestare solo per questo”.
Ma facciamo un passo indietro. Sono partiti, dopo estenuanti mesi di attesa, i lavori della Commissione d’inchiesta incaricata di indagare sulla scomparsa di Emanuela. Dal giorno dall’audizione di Pietro, hanno cominciato a riemergere tutta una serie di questioni che hanno il chiaro e solo scopo di sviare l’attenzione, di gettare ombre sulla famiglia di Emanuela. Prima il ritorno delle vecchie perizie telefoniche su Marco Accetti, il fotografo romano che si è autoaccusato del rapimento, poi Alì Agca, l’attentatore di Giovanni Paolo II, che ora che si trova in punto di morte sarebbe pronto a rivelare tutto ciò che sa. Voglia di pulirsi la coscienza o ricerca d’attenzione? E si ritorna anche a parlare dello zio di Emanuela, con la convocazione dei cugini da parte della Commissione, e il dito è di nuovo puntato contro la famiglia. Eppure si tarda a far luce su tutta una serie di situazioni che andrebbero chiarite quanto prima: “lo non comprendo questa cattiveria, questa voglia di fare del male a chi ha subito tanto, continuare a girare il coltello nella ferita delle persone per fare male, male, male. Naturalmente dietro di loro c'è ben altro, ci sono altri e questi piccoli dementi si prestano. La categoria dei giornalisti, dei bravi giornalisti dovrebbe incazzarsi con chi infanga la categoria tutta. Che brutta gente. Vedrete quante ne sentiremo prima dell'anniversario ma non riusciranno in nulla, abbiamo le spalle forti”. Per ultimo il tentativo di voler associare Pietro a un ramo politico, ovviamente al Movimento 5 Stelle, visto che nella Commissione c’è una maggioranza di Fratelli d’Italia. Non è stata una scelta dettata dal caso: “Ho ottimi rapporti con tutti proprio perché non voglio politicizzare questa vicenda, la verità non ha un colore politico. Io mi sento allo stesso modo con i parlamentari del Movimento 5 Stelle, Lega, Fratelli d’Italia, Partito Democratico. Confrontandomi sempre volentieri con ognuno di loro, e mi da fastidio questo tentativo di darmi un’immagine politica. Io sono solo Pietro Orlandi e cerco mia sorella, punto”.