Emanuela Orlandi è scomparsa il 22 giugno del 1983. Una telefonata a casa, poi più niente. Poi mai più. La sua unica colpa, forse, quella di essere una cittadina vaticana. Quindici anni appena e un futuro rubato. Una vita rubata. Sono quarant’anni che suo fratello Pietro combatte contro tutti e tutti per scoprire cosa accadde davvero in quel caldo pomeriggio d’estate in cui si persero le tracce di Emanuela. Scomparsa su suolo italiano, a poca distanza dalla scuola di musica che frequentata vicino piazza Navona, il Vaticano non ha mai aperto un’inchiesta se non fino al gennaio dell’anno scorso. Un’indagine che arriva con quarant’anni di ritardo, quarant’anni di piste mai approfondite, silenzi pesanti e di depistaggi continui. Quarant’anni in cui l’attenzione, come racconta lo stesso Pietro, non ha mai smesso di gravitare attorno alla Santa Sede: “Chi sa e tace diventa complice (lo dice anche lo stesso Papa), al pari di chi ha avuto una responsabilità diretta e loro (non intendo tutti ovviamente) sanno. Il loro atteggiamento e la loro volontà hanno impedito che alcuni fatti venissero approfonditi e alcune persone ascoltate . E non significa nulla dove fu rapita Emanuela per individuare il responsabile, non significa che se Emanuela è stata rapita al centro di Roma i responsabili debbano essere solo persone che frequentavano lo stesso luogo. Il mandante responsabile di un rapimento può stare anche dall'altro capo del mondo”.
Giusto sarebbe vagliare ogni ipotesi. Dopo quarant’anni escludere delle possibili piste a casa porterebbe? Ad altro quarant’anni di nulla assoluto? Spesso ci si dimentica che dietro quell’immagine della ragazza con la fascetta nerac’era una vita reale, che si nutriva di sogni e aspirazioni. La verità potrebbe nascondersi ovunque, così come in Vaticano, che con la trattativa in Procura di cui ha più volte raccontato il magistrato Giancarlo Capaldo (mai ascoltato dalle autorità), ha dimostrato di conoscere molto poi di quanto emerso fino a questo momento: “Quindi dire che "il Vaticano non deve essere colpevolizzato perché Emanuela è stata rapita a Roma " è sbagliato, perché finché non si trova il responsabile tutti possono essere sospettati di responsabilità. Poi basterebbe comprendere a fondo e onestamente cosa avvenne nel famoso incontro in tra Capaldo, Giani e Alessandrini (capo e vicecapo della Gendarmeria). Gli strascichi di quell'incontro che evidenziano l'ammissione da parte del Vaticano di essere a conoscenza dei fatti”.