L'agenzia di stampa Ansa è in crisi, il mondo del giornalismo è in crisi. E come in ogni crisi che si rispetti, chi sta bene starà meglio, chi sta male starà peggio. Chi va in pensione prima del tempo con un assegno mensile stellare, chi fa il precariato. Non è la parafrasi di un testo di Rino Gaetano, ma la realtà dei fatti. L'Ansa starebbe spingendo i giornalisti più anziani fuori dalla porta per farli rientrare dalla finestra dopo aver preso una pensione pazzesca in anticipo. Come? Grazie alla ricongiunzione. La ricongiunzione è un istituto previsto dalle normative, nello specifico la legge 45 del 1990, che consente a chi è iscritto a forme obbligatorie di previdenza per liberi professionisti di richiedere la ricongiunzione dei contributi versati in altre gestioni previdenziali, al fine di ottenere una pensione unica. Si tratta di una norma che dovrebbe essere a vantaggio dei giornalisti freelance e dei collaboratori precari, ossia la parte più povera e sfruttata della categoria, ma che in realtà viene utilizzata dai più alti in grado nel mondo dell'editoria: direttori, caporedattori, ovvero tutte quelle persone che utilizzano a mani basse i colleghi precari e sottopagati. Di più: queste stesse persone starebbero andando a percepire una pensione d'oro proprio grazie a questa norma, ovvero attraverso la cassa che dovrebbe garantire le pensioni ai giornalisti più sfigati, i collaboratori non dipendenti e i freelance. Controsenso o ingiustizia che sia, è un meccanismo che, come ci dicono fonti interne, anche all'Ansa conoscono bene, e che risulta perfettamente funzionale al momento di crisi che sta vivendo l'agenzia, e con lei il mondo dell'editoria in generale.

La cosa più importante è che, così facendo, i beneficiari di questo meccanismo vanno in pensione intorno ai 63 anni, e non a 66 o 67 come gli altri. La fonte interna ci spiega che sarebbe proprio questo il gioco messo in pratica da Ansa che, essendo in crisi da tempo, starebbe portando avanti una serie di prepensionamenti. Ma non solo. A quanto ci viene riferito, gli stessi giornalisti andati in pensione anticipata poi continuerebbero comunque a lavorare con l'agenzia, ma in qualità di collaboratori. Come spiega l'informatore, si può trovare traccia di queste pratiche anche nei documenti del Consiglio dell’Ordine: la situazione andrebbe avanti così da anni, proprio mentre la stessa Ansa sta chiudendo diverse redazioni locali per risparmiare sul personale. Inizialmente i prepensionamenti ipotizzati dall'agenzia di stampa sarebbero stati 65. Alla fine, come ci spiega sempre la fonte interna, è stato firmato un accordo per 40 uscite: 30 prepensionamenti e 10 pensionamenti per vecchiaia, tutti su base volontaria. È stato mantenuto anche il turnover di 1 a 2: per ogni due uscite ci sarà un’assunzione. Quindi, in teoria, verranno assunte 20 persone, mentre gli usciti potrebbero continuare a lavorare come collaboratori, contemporaneamente prendendo una pensione ben oltre la media di settore. Questo era il come, ora vediamo il perché.

Il guadagno, ovviamente. Organico più basso, meno gente da pagare. Meglio ancora, gli stipendi più alti vengono eliminati dal budget e passati allo Stato. Vengono assunti ragazzi giovani, che avranno uno stipendio più basso, e quando è il caso si richiamano i pezzi grossi come collaboratori esterni. Il risparmio è notevole, si capisce. Tutti contenti? Qualcuno sì, altri meno. Per chi lavora da tanti anni, così come per chi ha una solida base retributiva, la ricongiunzione è una miniera d'oro. La ricongiunzione dei contributi all'Inpgi permette di trasferire i contributi versati in altre gestioni previdenziali, come l'Inps, e di consolidarli in un'unica posizione assicurativa Inpgi. Questo può essere utile per raggiungere più rapidamente il requisito di anzianità contributiva per la pensione. La ricongiunzione non comporta alcun onere per il giornalista, e i contributi trasferiti vengono maggiorati del 4,5%. In altre parole, se un giornalista ha versato 100 euro nel 2000, l’anno dopo diventano 104,50 euro; nel 2001 quei 104,50 diventano circa 111 euro, e così via, in un meccanismo di crescita che ha un andamento quasi esponenziale. Con questo sistema, come ci ha spiegato la fonte, ci sono molti giornalisti dell’Ansa che si ritrovano con montanti contributivi enormi, in certi casi anche da 800 mila o un milione di euro. E a quel punto l’Inps è costretta a riconoscere loro una pensione proporzionata a quei valori. I vantaggi? Si va in pensione prima, si ha una pensione più alta, e i contributi si possono perfino scaricare in sede di dichiarazione fiscale. Il problema lo avrete già subodorato: è un meccanismo che si può permettere soltanto chi ha tanti anni di carriera e già una buona base stipendiale da investire in contributi. Il precario che paga l'ormai canonico posto letto a Milano rimane tagliato fuori. Come se fosse una sorta di assicurazione privata per l’élite della categoria. Quantomeno, servirà al ricambio generazionale? Non del tutto, ma per inquadrare meglio tutto bisogna sempre partire dalla Somma Giustificazione, da ciò che è in grado di far passare le peggio cose, in ogni campo. La Crisi. Senza di lei, molti diritti esisterebbero ancora.

L'Ansa è in crisi, un po' come tutto il mondo del giornalismo. L'Ansa è in crisi, e non è nemmeno notizia di oggi. È del 2020 un comunicato sul sito dell'Ordine dei giornalisti, in cui il Consiglio nazionale dell’Odg chiede al Governo di intervenire con urgenza per risolvere la crisi dell’Agenzia, la cui proprietà aveva presentato un “nuovo insostenibile piano di tagli.” Il comunicato portava in calce una lettera del Cdr Ansa in cui, testualmente, si diceva che “L’Ansa viene da 15 anni di crisi nel corso delle quali l’organico è stato di quasi la metà. Ora è in corso un piano di prepensionamenti dei poligrafici che a fine 2021 porterà il personale complessivo da 520 a circa 470 unità, con evidenti ricadute anche sul corpo redazionale. La struttura dell’agenzia però non è in sostanza cambiata: sono state ridotte le sedi estere e sono state mantenute tutte le sedi regionali, anche se con organici notevolmente ridotti.” La lettera continuava specificando che “Il blocco degli straordinari, la riduzione del budget per le missioni e per le domeniche, il taglio ai compensi dei collaboratori negli ultimi due anni hanno aggravato la situazione”, e che a determinare il calo del fatturato negli anni è stata “la riduzione continua delle convenzioni pubbliche (nazionali e regionali), che ora ammontano a 18 milioni rappresentando il 26% del fatturato complessivo e i continui tagli dei canoni che i soci pagano in funzione delle copie vendute (una condizione inaccettabile in epoca di passaggio al digitale). I soci contribuiscono ormai per il 10% del fatturato (circa 7 milioni) e il trend e ancora in diminuzione. Nel 2019, ad esempio, il taglio è stato di oltre due milioni.” Fin qui, ciò che è sotto gli occhi di tutti. Si parla di lavoro, di lavoro intellettuale, di informazione, di servizio pubblico: c'è un livello di gravità ulteriore, rispetto a quello semplicemente occupazionale, che coinvolge tutta la società. La situazione di crisi, poi, non fa che rendere ancora più insopportabile il divario creato, e riprodotto, dal meccanismo della ricongiunzione pensionistica. Ma che ci vuoi fare, è la Crisi. E tanto ci sarà sempre chi sta peggio. È il Primo Maggio, e tanti supermercati saranno aperti, e qualche padre di famiglia dell'Asia meridionale porterà da mangiare in bicicletta a qualche baby pensionato, o a qualche precario che farà la sua pausa pranzo. E la Festa dei Lavoratori, oggi, è diventata come la frase appena chiusa: un esercizio di retorica.
