Papa Francesco: rivoluzionario, progressista, comunista. Hanno detto tutto e quasi tutti hanno sbagliato (anche chi scrive). La verità è che Papa Francesco si lascia dietro un pontificato che potrebbe aver cambiato la Chiesa definitivamente. L’idea di una Chiesa sinodale, inclusiva, aperta, nuova, al passo con i tempi e, allo stesso tempo, contro ogni forma di ingiustizia e di disuguaglianza, ha fatto sì che la componente conservatrice potesse schierarsi contro il capo della Chiesa, cogliendo l’occasione per rifiutare in varie occasioni ciò che davvero li preoccupava di più, ovvero i cambiamenti accolti durante il Concilio Vaticano II. Quando sembrava tornato dopo un lungo ricovero alla vita e ai bagni di folla di prima, ecco la notizia inaspettata: Papa Francesco è morto oggi, lunedì 21 aprile, a Roma alla Casa Santa Marta dove si trovava a seguito del ricovero al Gemelli. "Alle 7.35 il Vescovo di Roma è tornato alla casa del Padre", questa la comunicazione del cardinale Farrell. E ora, come dicevamo, si apre il dibattito sulla sua figura. I veri progressisti e i nuovi attivisti, hanno criticato Papa Francesco per non essere abbastanza aperto e progressista, abbastanza rivoluzionario. Belli i discorsi su migranti e povertà e guerra, ma il Vaticano è ricchissimo e già questo è un problema, anzi una colpa, che non possiamo perdonare al pontefice, neanche se quest’ultimo ha scelto fin dall’inizio di rifiutare, in via simbolica, croci dorate e orpelli meno necessari. Insomma, non andava bene a nessuno, né ai progressisti né ai conservatori. E in questo ricordava il suo predecessore, Papa Benedetto XVI, che pure gli era stato contrapposto in quel quadretto buono principalmente per i media. Una somiglianza, la loro, che pur con le evidenti e chiare differenze, poggiava anche su alcune consonanze nella loro “filosofia della fede”, cioè nella loro comprensione del cattolicesimo.

Una su tutte: il recupero di Sant’Agostino, visto come filosofo e teologo realista, il teorico delle due città, la città terrena dei malvagi e la città di Dio dei santi. Due città che, nella realtà storico, cioè in ogni epoca (anche la nostra), non sono completamente distinte. Lo ha spiegato bene Massimo Borghesi nella sua “biografia intellettuale” di Jorge Maria Bergoglio (Jaka Book, 2018). In Agostino tanto Benedetto XVI quanto Francesco avevano trovato un’alternativa alla teologia imperiale, cioè all’idea di una fondazione terrena del Regno di Dio privo di ambiguità, contraddizioni e imperfezioni. È un’impostazione profondamente antiautoritaria, più spesso riconosciuta nelle parole di Francesco che non in quelle di Benedetto XVI, purtroppo (anche se i conservatori, invece, hanno giudicato spesso Francesco come profondamente autoritario, una sorta di stalinista). È tuttavia altrettanto vero che Francesco aveva in qualche modo, come evidenziato nel 2023 sul Foglio da Matteo Matzuzzi (opinione fortemente criticata invece proprio da Borghesi), “perso l’America”, e cioè quel modello di Chiesa fieramente occidentale che fu amica di Benedetto XVI. A Francesco sembrava piuttosto piacere, come Matzuzzi ha spiegato anche a noi, la cosiddetta corrente tedesca, più progressista, più aperta. Per Borghesi, semmai, Papa Francesco si oppose al “cattocapitalismo”, cioè alla chiesa teo-conservatrice che, per semplificare potremmo oggi definire trumpiana (o Trump può essere considerato cattocapitalista). Tuttavia il segno di rottura con le posizioni filo-occidentali di Benedetto XVI (le stesse che una non credente come Oriana Fallaci finì per apprezzare come unico gesto di resistenza all’islamizzazione del dibattito pubblico post-Undici settembre) è evidente.

Papa Francesco è stato da subito identificato, e lui stesso ha contribuito a questo fin dal momento della sua prima apparizione, con il Sud del mondo e dunque con la fine di una Chiesa eurocentrica o occidentalocentrica. Un papa attento alle conseguenze negative del cambiamento climatico e attento, in un certo senso, alle cosiddette epistemologie del sud, ovvero a quel pensiero anticoloniale che gli permise di attirare l’attenzione della sua Chiesa sui popoli indigeni e sulle donne (il caso emblematico fu proprio quello del sinodo per l’Amazzonia nel 2019). La discontinuità tra il suo papato e i suoi predecessori, venne ratificata in qualche modo dal teologo Hans Küng, noto per le sue posizioni estremamente critiche proprio nei confronti di Woytila e del suo “inquisitore Ratzinger”. Nel 2016 Bergoglio e Küng ebbero infatti uno scambio definito proficuo dal teologo sul tema dell’infallibilità papale. Un papa fallibile? Forse quel tipo di papa che incarnava l’idea agostiniana di una Chiesa imperfetta, esposta ai venti della Storia tanto e come qualsiasi altra istituzione. Ora la riforma di Papa Francesco (è importante definirla così e non parlare di “rivoluzione”, come spesso è stato fatto, poiché il pontefice è pur sempre rimasto all’interno del tracciato della Chiesa e della lunga tradizione di Roma) potrebbe subire uno stop se venisse eletto un papa conservatore, ma potrebbe allo stesso tempo radicarsi definitivamente nei prossimi decenni grazie all’elezione di uno dei suoi seguaci tra i papabili, mediamente più giovani dei loro rispettivi, chiamiamoli così, controriformisti (e più giovani anche di Bergoglio nel 2013). Come un pastore ha guidato il suo gregge, come un pescatore ha saputo gettare la rete alla profondità giusta e ora, come fratello maggiore, nel pieno spirito di quella amoris laetitia che ha segnato il suo pontificato, potrebbe aver indicato una nuova strada.

