Dal 1990, dopo un’imprecisata scena che lo turbò, Papa Francesco non vede più la televisione (sebbene poi nel 2022 seguì per certo la Via Crucis sullo schermo perché impedito a presenziare), epperò in televisione ama andarci, come quando da cardinale registrava trasmissioni sulla Bibbia per la Televisione argentina. Ed è perciò stato per la terza volta ospite di Fabio Fazio, forse perché il solo che sia molto riverenziale e ligio nel concordare le domande, come ha fatto sapere Dagospia – ciò che né un giornalista né un conduttore dovrebbero mai fare. Con molta compunzione, come si trattasse di un libro da cassetta di Frassica o Littizzetto, Fazio ha più volte mostrato l’ultimo libro del Papa al pubblico e altrettante volte si è trattenuto dal dichiararlo un libro sacro. Osannando Spera (Mondadori) Fazio ha però ignorato Life (HarperCollins), l’altra “autobiografia” del Papa uscita nel marzo scorso. Niente di nuovo e di cui serbare memoria se Dagospia non avesse insinuato che il Papa avrebbe disapprovato (eufemismo, perché si sarebbe anzichenò infuriato nel leggerlo) l’ultimo comunicato stampa Mondadori del 13 gennaio di lancio del libro nella parte in cui viene definito “un autentico memoir, il primo di un Papa in carica: il racconto di una vita, tutta intera, in prima persona e con un’unica voce”. Francesco non avrebbe gradito l’eccesso di personalizzazione o cosa? In effetti Mondadori ha allestito un’edizione che, corredata di numerose foto dell’album del Papa le cui didascalie sembrano scritte di suo pugno, lascia immaginare che si tratti davvero di una autobiografia. Ma non è finita. Sempre secondo Dagospia, Francesco non avrebbe neppure apprezzato (con seguito di nuovi strepiti) le domande concordate tra Fazio e il proprio ufficio quanto proprio alla sua “autobiografia”. In realtà Spera non è opera di Francesco, al pari di altri suoi libri, né è stato scritto – come invece attesta lo stesso comunicato stampa di Segrate – “con Carlo Musso”, cioè a quattro mani o sotto dettatura, ma certamente è stato dal Papa voluto e approvato.
La conferma che l’autoralità del Papa è spuria arriva a MOW dal capo dell’Ufficio stampa Mondadori Francesca Gariazzo, responsabile del comunicato in questione: «Il libro è stato scritto da Musso, è vero, ma ha richiesto ben sei anni di stretta frequentazione con il Santo Padre durante i quali l’autore ha raccolto il racconto della sua vita riportandolo fedelmente». Traccia se ne ha dopotutto proprio nel libro, dove nel sedicesimo capitolo, parlando di padre Enrique Martensens, si legge: “Ha pochi anni più di me e mentre si scrivono queste righe è ancora vivo”. L’impersonale vale come disconoscimento da parte del Papa di un proprio atto diretto di stesura. Se non bastasse, ulteriore prova della paternità di Musso, un editor già Mondadori e oggi editore indipendente, viene dalla bibliografia finale che riporta le fonti alle quali ha attinto, evidentemente non relative alla sola memoria del pontefice. Anche Musso, pur parlando di “autobiografia”, riconosce che si tratta di una biografia. Spiega infatti a MOW: «L’autobiografia – come accade ovviamente per la totalità dei volumi di autori anche di minor tenore – è il risultato di un lungo lavoro comune di conversazioni, analisi di scritti e testi forniti dal Santo Padre, fase di scrittura, integrazioni, comune verifica. Il lavoro ha avuto inizio nel 2019 e si è concluso definitivamente ai primi dicembre 2024, quando il Papa ha creato 21 nuovi cardinali da diverse parti del mondo. Destinata in un primo momento a essere pubblicata dopo la morte, ha avuto nel corso degli anni diversi step di chiusura bozze e successiva integrazione. Ma l'annuncio del Giubileo nel 2024 ha poi risolto il Papa a pubblicarla in occasione dello stesso, dal momento che - perfino nelle pagine più tragiche e drammatiche - il testo è sempre un contagioso messaggio di speranza, rivolto ai credenti ma non solo. Da qui il titolo».
Quanto alle sfuriate del Papa, Gariazzo nega qualsiasi scatto d’ira e fornisce una foto presa nella sua dimora di Casa Santa Marta che mostra Francesco mentre sfoglia il libro senza aria alcuna di contrarietà. La foto smentirebbe dunque Dagospia, ma potrebbe essere antecedente all’infortunio al braccio, mancando il tutore, e potrebbe anche precedere la nota stampa che sarebbe stata motivo della sua supposta reazione. Come che siano andate le cose, “l’autobiografia” Mondadori (così indicata nel sottotitolo, per giunta con un perentorio articolo determinativo a designare una esclusività) segue quella HarperCollins curata dal giornalista Mediaset Fabio Marchese Ragona, presentata anch’essa esplicitamente come tale già in copertina: “Life. La mia storia nella Storia”, con un inequivocabile aggettivo possessivo. Ma non lo sono né l’una né l’altra, giacché i veri autori sono proprio i curatori, sicché si dovrebbe parlare più onestamente di “biografie autorizzate” e materialmente scritte sulla base di un racconto oralmente sotto forma di intervista. E qui nasce la domanda sulle ragioni che hanno spinto il pontefice a parlare praticamente delle stesse cose e in maniera pressoché concomitante con due suoi diversi biografi. Da Fazio il Papa ha voluto precisare che entrambi i libri sono “importanti”: quello di Ragona impegna precisi argomenti, la caccia agli ebrei, il viaggio sulla luna, l’attacco alle Torre gemelli, mentre l’altro è “classico” - ha detto - nel senso che si occupa della sua vita sin dall’età infantile. In realtà sia Spera che Life coprono ogni età del Papa rifacendosi alle vicende dei genitori e persino dei nonni. Si distinguono in ciò che, il primo appare come una ininterrotta trascrizione di una lunga conversazione del Papa mentre il secondo alterna, per qualche motivo, le parole del pontefice a brani sintetici e analitici dell’autore. E per qualche altro motivo, chissà se imputabile al Papa, la madre Regina Maria Sivori è da Ragona chiamata sempre Regina e da Musso soltanto Maria. Per il resto entrambi ricopiano persino il “Credo personale” scritto dal Papa e ravanano rivariando gli stessi ricordi, ma Spera indulge nell’omiletico con un tono predicatorio ed esortativo più accentuato, tipico di Francesco, per cui il libro conta un maggiore numero di pagine.
L’interesse principale per i due libri riguardava ovviamente le vecchie accuse mosse al Papa circa la sua collaborazione con il regime militare argentino, quando da padre provinciale dal 1973 al 1980 avrebbe “consegnato” al governo di Videla due gesuiti, Orlando Yorio e Franz Jalics, che a Bajo Flores, il suo stesso quartiere di Buenos Aires, facevano opera di militanza sociale. Se Fazio ha preferito glissare, ricordando piuttosto l’abnegazione del Papa nel salvare oppositori del regime, le due “autobiografie” hanno invece ripreso il caso. Di più lo ha fatto Life che Spera, dove tuttavia figurano maggiori rivelazioni sugli altri desaparecidos e le madri di Plaza de Majo, ma è solo in Life che è ammessa l’esistenza delle accuse. Il pontefice non si sottrae e dà la sua versione dei fatti, spiegando di aver tentato ogni strada per farli liberare, compresa la messa celebrata in casa del generale, che fu possibile dopo aver chiesto al cappellano di darsi malato per poterlo sostituire e avvicinare così Videla. Con una differenza non di poco conto però: mentre in Life Papa Francesco dice di aver parlato a Videla subito dopo la messa e di aver avuto per risposta che si sarebbe interessato, in Spera dichiara che una analoga promessa l’aveva avuta già molti giorni prima. Ci dice Musso: «Sebbene contenga non poche notizie esclusive, che nelle anticipazioni stampa del volume hanno fatto letteralmente il giro dei media del mondo – tra le altre quella del duplice tentativo di attentato sventato in Iraq nel 2021 e conclusosi con la morte degli attentatori, che è stata rivelata per la prima volta nell'autobiografia; o le drammatiche storie del compagno delle superiori che uccise un suo amico con la pistola del padre (e dopo il carcere minorile si suicido) e del ragazzo problematico di cui il giovane Jorge si prendeva cura che uccise la madre con un coltello; o il racconto intimo della zia “barbona” che condusse a lungo un’esistenza randagia e solitaria; o molti variopinti racconti legati al barrio dell'infanzia e dell'adolescenza... – il senso dell’opera non è affatto quello di perseguire un’operazione “scoopistica”». Certo che no, senonché viene fatto di chiedersi se sia appropriato che del vicario di Cristo si conosca tutta la vita quando dello stesso Gesù si ha notizia di pochissimi anni. Ci sarà un motivo se nessun pontefice ha mai parlato tanto di sé, giusta la regola valida pure per il Papa secondo cui più si compare (anche da Fazio) e più si diventa piccoli.