Nulla di cui stupirsi: ogni guerra è accompagnata da una fitta nebbia di propaganda che coinvolge le parti in causa, tanto più nelle forme contemporanee di guerra ibrida, dove la disinformazione viene impugnata dai governi come arma vera e propria. Non fa eccezione il conflitto tra Israele e Hamas, tornato a essere il fulcro di quella “Terza guerra mondiale combattuta a pezzi” a seguito dell’attacco terroristico condotto dall’organizzazione paramilitare palestinese sabato 7 ottobre, che qualcuno ha definito l’11 settembre israeliano per lo sconcertante fallimento dell’intelligence dello Stato ebraico. Tra quelle immagini terribili di civili rapiti e uccisi dai terroristi di Hamas che hanno sconvolto il mondo, è circolata nei giorni scorsi la notizia - agghiacciante - dei bambini decapitati nel kibbutz di Kfar Aza vicino al confine di Gaza.
La disinformazione come arma
I report parlavano di circa 40 bambini massacrati nella Striscia di Gaza governata da Hamas. Mercoledì 11 ottobre, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha dichiarato in merito: “Non avrei mai veramente pensato che avrei visto e avuto conferma di immagini di terroristi che decapitano dei bambini”. Dichiarazioni che hanno ingenerato una certa confusione perché né il presidente né i funzionari statunitensi hanno avuto poi conferma della notizia, ha chiarito in seguito un portavoce della Casa Bianca, secondo il Washington Post. La Casa Bianca ha spiegato che Biden ha basato le sue osservazioni sulle affermazioni fatte da un portavoce del primo ministro israeliano e su resoconti dei media provenienti dello Stato ebraico. Si tratta di Tal Heinrich, portavoce del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il quale aveva dichiarato alla Cnn che neonati e bambini piccoli erano stati “decapitati” nella comunità di Kfar Aza.
Bimbi decapitati, guerra o verità?
Ora un nuovo reel diffuso su Instagram dalla giornalista di Al-Jazeera Rawaa Augé getta nuove ombre sulla vicenda. Come ricostruito da Augé, la prima giornalista a diffondere la notizia dei bambini decapitati nel kibbutz di Kfar Aza è la corrispondente Nicole Zedeck, che in un tweet del 10 ottobre, a tre giorni dall’attacco di Hamas, scrive: “I soldati mi hanno detto che credono che siano stati uccisi 40 neonati/bambini. L’esatto numero delle vittime è ancora sconosciuto poiché i militari continuano ad andare casa per casa e a trovare altre vittime israeliane”. Tuttavia, già il giorno successivo, l’11 ottobre, come riportato da The Intercept, le forze di difesa israeliane “non hanno potuto confermare la terribile affermazione secondo cui Hamas avrebbe decapitato bambini”. Anche le affermazioni secondo cui i terroristi di Hamas avrebbero violentato diverse donne israeliane sono diventate virali, scrive sempre la testata Usa, “sebbene l’accusa non sia stata completamente dimostrata e almeno un organo di stampa abbia ritrattato i riferimenti a questo fatto”.
No ipocrisie
Anche la giornalista italiana Cecilia Sala, intervistata da La7, ha raccontato che la notizia non era stata verificata: "Abbiamo visto bambini giustiziati e famiglie intere uccise, questo non può essere messo in discussione, ma le decapitazioni dei bambini non sono verificate”. La stessa Cnn, citando un funzionario israeliano non più tardi del 13 ottobre, conferma che “ci sono stati casi di militanti di Hamas che hanno compiuto decapitazioni e altre atrocità in stile Isis”. Tuttavia, Tel Aviv non è in grado di “confermare se le vittime fossero uomini o donne, soldati o civili, adulti o bambini”. Cambia qualcosa rispetto alle barbarie commesse da Hamas nei confronti dei civili israeliani? Contro giovani che frequentavano un rave? O rispetto ai morti palestinesi nei raid israeliani? No, non sposta di una virgola il dramma e la condanna netta di un attacco terroristico. Ma occorre prendere atto che la propaganda di guerra non è mai a senso unico. Esisterà sempre, perché è parte integrante dei conflitti moderni. Evitiamo inoltre l’ipocrisia sui morti per “danni collaterali”, come se fossero morti di serie B: quando i militari sottopongono ai politici - in questo caso a Netanyahu, che ha assunto “pieni poteri” di un gabinetto d’emergenza - le varie opzioni sul tavolo, si conoscono perfettamente le possibili conseguenze sui civili. Certo, non è paragonabile da un atto deliberatamente barbarico e terroristico nei confronti di civili inermi e indifesi, ma chi mette in atto un bombardamento a tappeto è perfettamente conscio delle conseguenze. Chi crede il contrario, pecca di ingenuità.
Attenzione alle notizie non verificate
La regola fondamentale quando si tenta di analizzare un conflitto è dunque quello di fare estrema attenzione a soppesare ogni singola notizia, soprattutto se proviene da una delle parti interessate o da media vicini ad esse. Necessario porsi dei dubbi e non cedere all’emotività, il che non significa non provare dolore ed empatia nel vedere certe immagini. Ma essere consapevoli che, nel recente passato, immagini atroci (poi rivelatesi false) hanno provocato guerre e sofferenze ancora peggiori. Come ricordava Domenico Losurdo nel suo saggio La Sinistra assente, “la rappresentazione menzognera dello scontro in Libia quale genocidio consumato ai danni di una massa di civili inermi ha consentito a un mastodontico apparato militare di massacrare decine di migliaia di persone, senza incontrare opposizione nell'opinione pubblica, anzi riscuotendo persino il suo consenso”.
Ora l’attenzione è focalizzata su Israele e Hamas, ma la guardia deve rimanere alta. Come scrive il Washington Post, sebbene negli ultimi anni i social media siano stati uno strumento fondamentale per diffondere informazioni in tempo di guerra, una raffica di immagini, meme e testimonianze sta rendendo difficile valutare ciò che è reale da ciò che non lo è. Gli attivisti, osserva la testata Usa, avvertono che le storie virali che si rivelano non vere potrebbero scatenare odio, violenza e ritorsioni contro persone innocenti.“Sono terrorizzata”, afferma Marwa Fatafta, analista politica di Al Shabaka, un think tank palestinese e responsabile delle politiche regionali per il gruppo no-profit per i diritti umani digitali Access Now. “Ci sono molte informazioni condivise che non sono verificate, molti appelli alla violenza e alla disumanizzazione”. Un processo disumanizzante che non può che portarci verso il baratro.