Le feste paesane di chiusura dell’anno scolastico sono un gradino sotto le sagre di paese. Queste ultime, per tutto l’anno, stanno all’ultimo posto nella classifica dell’orrore delle cosiddette attività sociali comunali, se non fosse che, una volta l’anno, le scuole chiudono e addio primato e anche primati (nel senso di animale eretto). Malé è un paese di poco più di duemila anime, capoluogo della Comunità della Valle del Sole, istituita con una legge provinciale del 16 giugno 2006 e gli appassionati di numerologia non potranno non vedere la comunanza di data astrale tra la legge istitutiva e l’apparizione dell’orso per le vie del centro durante la festa di chiusura dell’anno scolastico.
Malé è al centro del triangolo formato dalle Dolomiti di Brenta, da Madonna di Campiglio e dal Parco Nazionale dello Stelvio. Questo giustifica l’esorbitante numero di attività alberghiere (circa una ogni 180 abitanti, ma possiamo sbagliarci per difetto) e un particolare punto di vista della natura che circonda lo sghignazzate paesino (sghignazzante è meglio di ridente): un luogo disabitato dove gli esseri umani fanno le loro cosine, come passeggiare con fatica (trekking) immersi in una cosa strana con gli alberi dove non ci sono gli uffici, oppure essere tirati sul costone da un appendiabiti semovente e, arrivati in cima, senza che nessuno li obblighi, ruzzolare giù per poi essere nuovamente tirati su: trattasi di attività keynesiana applicata con successo al turismo.
La caratteristica principale di Malé sono i suoi censimenti. Dal 1921 a oggi gli abitanti sono sempre stati poco più di duemila. Sembra uno di quei luoghi delle serie tv alla From o alla Wayvard Pines in cui è impossibile lasciare la cittadina. Sfido chiunque di voi a dire di avere mai incontrato un abitante di Malé. La verità probabilmente è che nessuno vuole andare a vivere a Malé (bel posto ma non ci vivrei) e nessuno vuole lasciare Malé perché se sei nato a Malé poi stai bene solo a Malé. Secondo me Malé è un Truman Show per gli orsi, che quando si annoiano guardano Malé. Il problema sono gli sconfinamenti. Degli umani, ca va sans dire.
Per quanto riguarda la sera del 16 giugno, quando un gruppo di studenti ha avvistato l’orso, il consigliere provinciale Claudio Cia (non è parente del servizio d’intelligence americano) ha pubblicato un video accompagnato dalle seguenti e testuali parole: “Questa nottw, verso le due, un orso si aggirava nel centro abitato di Malé, mentre il paese era in festa. C’era vita ovunque: musica dal vivo, bancarelle e tanti ragazzi per le strade”. Quello che colpisce è senza dubbio: “C’era vita ovunque”, che ci svela d’emblée, quale sia il concetto e il convincimento di “vita” del consigliere provinciale Claudio Cia. Per lui la “vita” sarebbe la musica dal vivo della festa di paese per la chiusura dell’anno scolastico. Adesso: forse, non lo sappiamo, a Malé c’era la reunion dei Beatles, ma di solito la musica dal vivo delle feste di paese sono una tastiera midi suonata da un tastierista che ancheggia in maniera anni ‘80 e pigia i tasti con una rincorsa molto spettacolare e una cantante sovratruccata che rimaneggia e ‘migliora’ con la sua interpretazione alcuni classici della cultura pop, di fatto togliendo loro la propria vita e sostituendola con un’altra che è finta; oppure, la musica dal vivo, è spesso un dj, e non si capisce perché si chiama musica dal “vivo” quando l’unico vivo è il dj che, durante la performance “vive” Malé come fosse Ibiza. E che dire delle bancarelle? Io me lo sono sempre chiesto se nelle bancarelle esistesse una qualche forma di vita: di solito ci sono oggetti morti venduti da esseri mitologici metà esseri umani (dalla cintola in su) e metà bancarella, essi non vanno da nessuna parte senza la bancarella, anzi, è la bancarella che decide dove andare, che siano feste laiche, sagre etnoalimentari o celebrazioni di santi, sono le bancarelle, esseri mi pare inanimati, che si portano appresso quel che resta dell’umano. Una volta, la nobile arte del bancarellaro, consisteva nel portare i progressi della civiltà nei paesini fuori dalle rotte commerciali, e fra di essi si imbucavano quegli artisti assoluti che venivano chiamati “imbonitori”, oggi, che abbiamo gli smartphone e l’e-commerce, le bancarelle sono i cadaveri di un tempo che fu, scheletri che si buttano in piazza per la gioia dei consiglieri comunali. Non stupisce che in questo clima necrofilo, nel quale tanta roba c’è, tranne la vita, il Cia (da non confondere con “la”, è solo un caso di omonimia) voglia la morte dell’orso.
Considera l’orso, invece. Quanta pazienza, quanta sopportazione, quanta saggezza, quanta benevolenza deve avere, per non irrompere nel culmine dei festeggiamenti a portare un po' di scompiglio vitale, ovverosia davvero animale. E’ l’umano che sconfina. L’essenza stessa della civilizzazione è lo sconfinamento. Della morte. Si chiamano “specisti”. E invece sono necrofili.