Gli scontri a Napoli sotto la sede Rai che hanno coinvolto un manipolo di cittadini arrabbiati per il comunicato in solidarietà di Israele dell’ad Rai Roberto Sergio riportano al centro del dibattito i soliti concetti: fascismo e censura. Ne sentivate la mancanza? È censura quella a Ghali ma ancora di più quella contro i manifestanti manganellati. Perché è una censura e pure violenta. Quindi fascista. La risposta inefficiente della polizia gonfia solo la notizia e i temi della protesta, i protestanti, lontani dall’esserne inconsapevoli, lo sanno e se lo sai, sallo. Chi come Flavia Carlini si stupisce forse non ha mai partecipato a una manifestazione prima d’ora. Chi come Flavia Carlini va nel panico forse non dovrebbe partecipare a queste manifestazioni. È in fondo quello che scriveva Franco Bifo Berardi sul Primo Maggio del 2015, quello dei black block che spaccarono Milano: “Ma torniamo a Milano. Tremila teppisti spaccano tutto? Non esageriamo, ma certo hanno fatto abbastanza fumo. E i giornali parlano di loro più che di Renzi Armani e Boccelli. Come posso non essergliene grato?” Il punto è chiaro (e siamo noi a essergliene grati): “Nel tempo che viene non capirete niente se penserete alla democrazia. Occorre pensare in termini di vita e di morte, e allora si comincia a capire”.
Ovviamente non bisogna pensare solo ai “teppisti”, come li definisce amichevolmente anche Bifo. Bisogna pensare a tutte le forme di manifestazioni che forzano il limite chiesto dagli agenti di polizia. Un passo in più è sufficiente per caricare, per gli idranti e così via. È uno dei motivi per cui le manifestazioni, più grandi sono, più hanno bisogno di persone in grado di creare cordoni, di tenersi per mano, di difendersi. È chiara un’altra cosa. Quelle botte, quelle manganellate, chi sfrutta lo strumento della protesta, se le cerca. Che faccia bene (come sostiene Bifo) o faccia male (come sostengono i commentatori in odore di fascismo che gioiscono per le manganellate a dei civili), l’individuo e la massa vanno incontro a un destino già scritto, che per alcuni si gioca realmente sul sangue, la vita e la morte, per altri sull’incoscienza e l’inconsapevolezza, tanto da trovarsi spaesati nel momento in cui la pressione sale e chi viene istruito e armato per usare secondo istruzioni quelle armi, agisce in modo fisiologico rispetto alla natura stessa del corpo addestrato. Cioè in modo naturale, tipica, prevedibile.
C’è un altro aspetto. La natura delle forze dell’ordine è mettere ordine con gli strumenti che legalmente e moralmente siamo quotidianamente disposti ad accettare (i caschi, i manganelli, le divise, lo Stato), ma qual è la natura delle proteste? Ora è più chiaro. A destra e a sinistra, il contrasto, l’attesa nervosa della reazione a una azione. E questo vale anche per le manifestazioni pacifiche. È così nella testa di tutti quelli che decidono di partecipare per incidere. Poi ci sono i modelli politici, quelli che vogliono fare le sfilate. Quelli che hanno un bel viso e idee alla buona e basta una scheggia di realtà per rovinare sia l’uno che le altre. La scheggia di realtà è la violenza istituzionalizzata. Il bel viso l’inesperienza e l’alienazione. Quella vera, di chi considera impegno politico l’indignazione da social. Allora non ci sono innocenti. I poliziotti non lo sono, i manifestanti che sanno cosa cercano e cosa troveranno non lo sono, i manifestanti pacifici; perché l’ingenuità non c’entra niente con il contesto e scegli di partecipare allora verrai svezzato. Poi si scende. Dalle manifestazioni violente alle manifestazioni superflue, quelle in cui le armi le ha solo una parte e tu hai i passi, quelli che decidi di compiere confondendo, se lo fai in buona fede, l’eroismo con la stupidità strategica. E allora arrivano le manganellate. Per quelli di destra e per quelli di sinistra. E non c’è né censura né fascismo. Anzi, il messaggio arriva e acquista la sua forma definitiva, incensurabile, il grido di paura. Di chi scappa, di chi ci prova ma non riesce perché siete in troppi, di chi sanguina. Eccolo il messaggio. Il grido di paura, legittimo ma disordinato, inconsistente, irragionevole. Un sintomo più che una vera e propria linea d’azione.
Poi resta la confusione, intatta, immutata nonostante le botte in testa. Quella di chi non riesce a guardare le cose per quello che sono. La polizia non è fascista, è la polizia. Non serve dire nulla di diverso per condannare le azioni violente, le manganellate, le cariche. E le manifestazioni sono manifestazioni, ricettacolo per aggressioni violente. Sono un modus operandi tanto quanto un magnete per i parvenu. Solo il sistema che olia se stesso attraverso influencer, indignati e moderati sconvolti. Fanno più loro per censurare il messaggio politico della manifestazione dei celerini. Perché lo normalizzano, lo rendono riprovevole per la massa, lo rendono una cosa che all’apparenza può essere condannata da tutti, salvo poi approfondire e scoprire che forse, i temi della protesta, sono lontani, estremisti, inconcepibili per i più. E al massimo arriva una condanna per la violenza contro dei poveri ragazzi – quando, come si è detto, gli italiani fascisti non hanno la meglio e lordano social e giornali di rimproveri contro chi legittimamente e giustamente protesta. Allora come interpretare quanto accaduto a Napoli e quanto continuerà ad accadere? Come una legge fisica: la violenza è uguale al movimento degli ingenui più le intenzioni di chi sa come ottenere qualche manganellata.