Ognuna non può salvarsi da sola. Neppure la tredicenne stuprata a Catania dal branco. Un branco di ragazzini, di origine egiziana ma poco importa, che ha accerchiato una poco più che bambina e l’ha violentata sotto gli occhi del fidanzato diciassettenne. Giovani che si sono resi artefici di un simile disonore con il solo scopo di attribuirsi un valore. Identificati grazie alla tempestiva denuncia della giovane coppia. Tutti i sette indagati sono arrivati da minorenni nel nostro Paese tra il 2021 ed il 2023 ed affidati in alcune comunità. Ma niente di nuovo sotto il sole. La cultura dello stupro è pandemica e non conosce confini. Due hanno eseguito materialmente la violenza, gli altri cinque hanno assistito allo spettacolo dell’orrore e hanno costretto il fidanzato a guadare con loro. Disumani, come i peggiori degli assassini. Nulla che riguarda il sesso o il porno, così come niente a che fare hanno l’amore e la gelosia con i femminicidi. In questa nuova terribile pagina di cronaca ci sono una giovanissima vittima ed altrettanti giovani carnefici. I fattori integranti sono tutti e sempre gli stessi: collegialità maschile, superiorità numerica, sopraffazione sessuale, fisica e psicologica. “Vi imploro, vi supplico, non mi fate del male, lasciatemi andare”. Queste le parole pronunciate dalla ragazzina trascinata nel suo terribile destino. Cancellata. Umiliata. Privata e violata nella sua dignità. Da ragazzi poco più che adolescenti. Con un nome ed un cognome. Identificati grazie ad uno sforzo immane da chi è stata violentata a tredici anni. Tredici, fissiamo il concetto se ancora non fosse chiaro. Una ragazzina trasformata in un oggetto, in uno strumento adibito ad appagare la brama di potere e i deliri di onnipotenza di sette giovani, dei quali tre minorenni. Due gli autori materiali della violenza. Gli altri hanno contribuito a spettacolarizzare lo scempio. Ciò che è successo a Catania, e ancor prima a Palermo, altro non è che un episodio di violenza di genere. Né più né meno. E questo è un concetto che dobbiamo ben fissarci in testa perché solitamente incaselliamo la violenza contro le donne solamente con riferimento ai femminicidi. Ma anche lo stupro è violenza di genere. Una violenza esercitata nei confronti di una donna in quanto donna. O peggio ancora in questo caso nei confronti di una poco più che bambina, in quanto bambina. Ciò perché lo stupro non ha niente a che fare con il sesso. Così come i femminicidi non hanno niente a che fare con l’amore o la gelosia. Difatti, abusi di questo tipo vanno ben oltre l’atto sessuale in sé e coinvolgono direttamente il desiderio di affermazione del potere da parte degli aggressori. È quello che noi del mestiere chiamiamo empowerment distorsivo.
Un senso di potere e controllo che deriva dalla volontà di umiliare e degradare la vittima e il suo fidanzato. Quest’ultimo immobilizzato e costretto a subire violenza, sia pur in una forma trasversale. Un desiderio di dominare ogni centimetro della scena. Il gruppo, il branco, accresce e moltiplica lo scenario: tutti, anche chi ha “solamente” assistito, hanno contribuito a mettere la ragazzina in condizione di essere senza possibilità di scelta. Se non quella di sottomettersi e di piegarsi al loro volere. E lei, come il più terribile dei copioni, diceva: “Vi supplico”. Una totale denigrazione cui è seguita la sigla di un patto di lealtà, quasi di sangue. Si sono sentiti virili, invincibili e superiori. Del resto, il branco deresponsabilizza per definizione perché illude chi ne fa parte di poter spalmare la colpa. Ma non funziona proprio così. Eppure, è proprio quel sentimento a fare da collante nella consolidata struttura di ogni violenza maschile. Una struttura che si poggia sulla cultura della prevaricazione che legittima gli uomini a usare e abusare le donne per affermare la propria potenza. Un preoccupante abbassamento delle vittime e dei loro carnefici. Per questo bisogna partire dal basso, dalla cultura. Perché la violenza contro le donne non deve essere arginata, ma sradicata. Perché, come dicevo, ognuna non può salvarsi da sola. Tantomeno a tredici anni.