“Mi sento in una situazione in cui vorrei che sparisse, vorrei non avere più contatti con lui. Non so come farlo perché mi sento in colpa, perché ho troppa paura che possa farsi male in qualche modo”. Queste erano le parole pronunciate da Giulia Cecchettin in un audio, riferendosi proprio all'ex ragazzo Filippo Turetta. E ancora: “Lui mi viene a dire cose del tipo che è super depresso, che ha smesso di mangiare, che passa le giornate a guardare il soffitto, che pensa solo ad ammazzarsi, che vorrebbe morire”. Questi messaggi rappresentano una drammatica ed irrevocabile “sentenza” postuma. L’assassino, che si fa fatica anche a chiamare per nome e cognome, incoraggiava in maniera subdola Giulia a farsi carico della sua infelicità. Un’infelicità che velatamente cercava di imputarle. In soldoni, con tutte quelle minacce sottili di volerla fare finita, non faceva altro che tentare di controllarla attraverso l’arma potentissima del senso di colpa e del ricatto morale. Come tutti i narcisisti maligni. Niente di più e niente di meno. Non facciamoci ingannare dalla giovane età. Il fatto che Turetta sia nato dopo il Duemila non deve rappresentare un’attenuante. Bensì un’aggravante. Perché nonostante l’età anagrafica è stato perfettamente in grado di esercitare la violenza psicologica prima di quella fisica per circuire la sua preda. E lo ha fatto in maniera infida, ambigua, strisciante e dannatamente letale.
In questo senso, si è avvalso di quella che noi addetti ai lavori chiamiamo strategia del caos, utilizzata per mettere Giulia in una condizione di sudditanza passiva. Filippo Turetta sapeva di poter far leva sull’affetto e il senso di protezione che lei nutriva per lui. E ne ha approfittato per portare a compimento il suo piano diabolico. Un piano con il quale si è sentito legittimato a stroncare per sempre la vita di Giulia. Questo passaggio spero non venga dimenticato nelle aule di giustizia. Così come non deve essere dimenticato il suo disimpegno emotivo. Una presa di coscienza agghiacciante e una crudeltà senza precedenti che si evince facilmente dal fatto di aver messo i soldi sporchi di sangue nel distributore automatico per fare benzina e di aver continuato a indossare gli abiti del massacro. Abiti che erano una prova tangibile e costante del femminicidio di cui si era macchiato. Il suo modus operandi manipolatorio non si è però ancora esaurito. Neppure adesso che si trova in carcere. Turetta, infatti, continua a mentire quando dice di aver provato a uccidersi, ma di non aver trovato il coraggio di farlo. La verità è che se non avesse finito le riserve economiche sarebbe ancora in fuga e ricercato come un vero e proprio latitante. Il perché non ha mai avuto un concreto proposito suicidario è lampante. E non solo perché se avesse voluto lo avrebbe fatto. Ma perché il suo obiettivo, quello che era rimasto nella sua misera esistenza, lo ha ottenuto uccidendo Giulia. E non ha avuto nessun rimorso e nessun pentimento. Al contrario, ha provato sollievo. Un sollievo derivato proprio da quell'omicidio perché solo in quella maniera è riuscito a ripristinare il controllo su di lei. Giulia non aveva messo a fuoco i pericoli e i rischi a cui andava incontro. Del resto, a quell’età, se non si è debitamente istruiti a riconoscere e respingere la violenza se ne diventa inesorabilmente vittima. Lasciamo gli eroi e le eroine alla mitologia.