Come si spiega Al Bano, Massimo Ranieri e Gianni Morandi alla Generazione Z? Al Bano prima dell’Isola, delle uscite sul covid e l’Ucraina. Ranieri prima dell’ultimo Sanremo. Morandi prima di Jovanotti? Come ti spiego gli anni del Musicarello, la competizione tra giovanissimi, a 50 anni di carriera? Ci voleva Amadeus, che al Tg1, scherzando, aveva detto: «Il guaio è che ho detto a tutti che saranno unici super ospiti della second serata, e alla fine saranno tutti e tre insieme per la prima volta». Proprio così, insieme per la prima volta. Un po’ come il film Godzilla vs Kong, con Al Bano che fa la tempesta di squali dell’assurda (ma ormai cult) pellicola dello studio Asylum. Ecco una guida for dummies alla loro carriera.
Fatti mandare dalla mamma
La nostra storia inizia da lontano, e ci mancherebbe. Gli anni Sessanta, gli anni della contestazione, il mito della rivoluzione, la leva, le canzoni contro la guerra. Gli italiani ascoltano Bob Dylan e cercano qualcosa di nuovo. Sono passati quasi dieci anni dall’inizio della carriera di Domenico Modugno, quei suoni girano ancora nelle orecchie di qualcuno, ma i più giovani vogliono riferimenti che siano solo loro. Voi direte: embè, Al Bano? Sì, anche Al Bano. La TV era un unico grande balletto su TikTok, che ti inonda e crea dipendenza. Tutti volevano essere ciò che la TV chiedeva loro. Il primo dei Nostri a lanciarsi nel mondo dello spettacolo sarà Gianni Morandi, che esordirà nel 1962 con Andavo a cento all’ora, inciso con l’orchestra di Ennio Morricone. Non entrerà in classifica, ma sarà già nel jukebox. Niente male per un novellino. Dopotutto aveva solo 18 anni. Quel giovane ragazzino, originario di Monghidoro (‘ndo sta? Nel bolognese, sugli Appennini), che da piccolo era costretto a leggere Il Capitale di Marx (mica After) e l’Unità (che il bugiardino di un farmaco sarebbe stato più piacevole, pure se invece di leggerlo uno se lo fosse mangiato), che per un po’ aveva venduto bibite nei cinema, arrotondando con le feste dell’Unità per mille lire a serata; che aveva tentato una carriera da pugile, prendendole più che dandole (immaginatevi un guantone di Gianni Morandi…); proprio lui, che capì di voler cantare quando la maestra Alda Scaglioni di Bologna lo scelse per un concorso dopo una cover di Nel blu dipinto di blu, nel 1962 stava per essere lanciato verso le stelle.
Ma prima… verso “la latteria”. Nello stesso anno, infatti, uscirà forse il suo più grande successo (quello che anche lo studentello classe 2009 saprà riconoscere), Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte. Ovviamente Gianni non voleva andare a prendere un bel niente per la mamma, questo è chiaro. Ma la gente si fidò del ragazzino, che dopo due anni tornò a casa con un Cantagiro, quello del 1964, per il brano campione di vendite In ginocchio da te, in cui si scusava probabilmente perché, fattosi mandare fuori dalla mamma, sbagliò casa della ragazza e ebbe una tresca con un’altra (si scherza, Gianni). Ancora anni di vittorie su vittorie, l’Eurovision ad Amsterdam nel 1970, con Occhi di ragazza (musicata da Lucio Dalla). Sono gli anni di Uno su mille e della partecipazione alla nazionale di calcio dei cantanti. E poi le mani nel cemento della strada del successo, il coronamento di una carriera grazie a quel Sanremo del 1987, vinto con Umberto Tozzi ed Enrico Ruggeri con Si può dare di più. Ma più di così, Gianni, che volevi dare.
Felicità
Ma la leva militare incombe, se non fosse per il matrimonio con Laura Efrikian, da cui nascerà la primogenita di Gianni. Siamo nel 1966, la prima volta a Canzonissima, la seconda vittoria al Cantagiro, poi quella canzone. Proprio lei, che lo avrà fatto sentire un po’ il nostro Bob Dylan, chissà. C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones (titolo che è quasi l’intero testo). Gliela fece sentire tale Mauro Lusini, e Gianni deciderà di inciderla. Che anni, ragazzi. I musicarelli (film che avevano come protagonisti dei cantanti come lui o Little Tony) spopolavano, i dolcevita pure, gli orologi in bella vista, le zampe di elefante, una capigliatura alla Beatles ma meno scacciafiga. Gli ingredienti c’erano davvero tutti. Erano gli stessi di Al Bano. Non c’è bisogno di ricordare il suo paese natale, Cellino San Marco (‘ndo sta? In provincia di Brindisi). Nel 1965 inizierà la sua carriera grazie a una cover di un brano di Ray Peterson (rigorosamente tradotto in italiano), inciso per la casa di produzione Fantasy. Sono gli anni a bottega da Celentano, che se lo portava dietro come spalla ai suoi concerti, grazie a un provino a Milano, negli anni in cui lavorava nel ristorante Il dollaro (dopo aver lasciato la terra natia a soli 17 anni). I Sessanta per Al Bano sono un pugno di sabbia, con dentro poche, preziosissime, conchiglie. Tra queste il grande successo di Nel sole nel 1967, canzone che diverrà anche un film, interpretato da lui e da Romina Power. Qui scatterà la scintilla e ancora tutti si chiedono come possa aver scelto di sposarlo (si scherza Al Bà). Il primo tentativo a Sanremo, dove vincerà il premio della critica ma arriverà nono, pur ottenendo un discreto successo verso la chiusura del decennio.
I Settanta inizieranno a bomba con due fedi al dito, una per lui e una per la figlia di Zorro (il papà di Romina fu un grande attore americano, interprete anche dello spadaccino mascherato). Avrà quattro figli, i primi due in questi anni e gli altri negli anni Ottanta. La primogenita, Ylenia, scomparirà nel 1993, così si presume, senza lasciar traccia. A questo punto inizia il sodalizio con Romina. Al Bano diventa “Al Bano e Romina” e ancora oggi, nonostante la separazione e decenni di carriera da solisti, vengono invitati a coppia, nella speranza che Romina non uccida l’ex marito nelle tante occasioni in cui lui le ruba la parola. In quegli anni, tuttavia, le cose andavano a gonfie vele. Con Ci sarà vincono il Festival di Sanremo nel 1984 e solo due anni prima, armati di bicchiere di vino e panino, vennero consacrati grazie al brano Felicità. Nel 1991 si presenteranno un’ultima volta a Sanremo con un brano che più ironico non si potrebbe, Oggi sposi. Sì, perché di lì a poco il duetto si separerà, prima sul palco e poi nella vita reale. Come Checco Zalone insegna, sarà lutto nazionale. Nel frattempo Al Bano si dava da fare con il Pretore di Roma, convinto che Michael Jackson avesse plagiato la sua I cigni di Balaka nell’album Dangerous, con il brano Will You Be There. Michael Jackson. Che copia Al Bano…
Perdere l’amore
Per tenere insieme i pezzi della vita di Massimo Ranieri servirebbe un esperto di diorama che possa dare nome alle tante vie intraprese da questo cantante. Attore di successo, sia teatrale che sul grande schermo, cantante e ballerino, dotato di notevoli abilità circensi e vittorie a non finire. Cerchiamo quindi di farla breve. Napoletano che più napoletano non si può, nel calco del più banale dei luoghi comuni, quello che li vorrebbe tutti un po’ Pulcinella, e cantanti provetti naturalmente. Ma per Massimo Ranieri le cose stanno davvero così. La sua carriera inizierà nei bar, per poi spostarsi nelle sale delle case discografiche. A soli 15 anni, nel 1966, verrà notato dal pianista Enrico Polito che lo poterà con sé nella CGD, che l’anno dopo lo scorterà al successo con Pietà per chi ti ama, vincitrice del Cantagiro nel girone delle giovani promesse. A 17 anni parteciperà per la prima volta a Sanremo e inciderà Rose rosse, la canzone che l’anno successivo lo catapulterà nell’Olimpo degli interpreti italiani. Nessuna caduta fino a sbarcare nei ruggenti Settanta, che vedono la nascita anche di un attore, tenuto a battesimo da Mauro Bolognini con il suo Metello. Ora Massimo ha vent’anni e vuole dirlo a tutti, ma proprio a tutti. Ci tiene così tanto che sempre nel 1970 parteciperà e vincerà Canzonissima con una canzone intitolata proprio Vent’anni. Riuscì a battere anche Gianni Morandi e una seconda volta fregherà al cantante bolognese il premio con Erba di casa mia. In quell’occasione Massimo ricorda la stretta, quasi mutilazione, che gli diede il cantante dei Colli. Una rivalità che si trasformerà in amicizia, però, raccontata con gioia da Massimo a partire dalle tante partite a carte nei backstage dei teatri.
A differenza degli altri due, si dà anche al cinema e al teatro più impegnati, come nel caso de Lo scialo, film tratto dal romanzo di Vasco Pratolini, in cui reciterà insieme a Eleonora Giorgi. Sono anni di indiscusso successo ma Massimo stava per sganciare la bomba. Parteciperà al Festival d Sanremo del 1988, con un brano che diventerà iconico. È lui, Perdere l’amore, con quel finale lunghissimo, che ormai ai concerti viene cantato due volte, una prima dal pubblico e una seconda da lui. Lui, lo scugnizzo, diventa uno degli interpreti più apprezzati e solidi della canzone italiana. Da lì la strada è in discesa. Successi, concerti, sold-out, critiche positive, ingaggi, di tutto e di più. Come gli altri due ha saputo eccellere con costanza per decenni, dimostrando di non essere l’ennesima meteora, voce di buone speranza ma con poca struttura. Al contrario, farà di tutto (e tutto bene). Nel 1996 doppierà persino Quasimodo nel lungometraggio Disney Il gobbo di Notre Dame e nel secondo della serie. Non ne ha mai abbastanza. E non lo avete visto cantare sopra a una palla, manco fosse una foca.
Le radici dello spettacolo
Gli ultimi vent’anni potremmo chiamarli i “vent’anni della pizza”. Come la pizza, ormai consacrata a eccellenza gastronomica, di evoluzioni e cose da dire ce ne sono tante e nessuna. Dagli Anni Duemila a oggi i tre cantanti hanno continuato e confermato i successi, comparendo (sempre più spesso in TV) o dando prova di grandi doti attoriali (come Ranieri nel suo Pasolini, in La macchinazione del 2016; persino più piacevole del vicinissimo biopic di Abel Ferrara del 2014, con il grandissimo – e identico – Willem Dafoe). Gianni Morandi lo vediamo a Miss Italia, conduttore di Sanremo, maratoneta provetto. Al Bano all’Isola, di cui si ricorda l’impareggiabile episodio del cibo e della pala per le feci, di cui non resta nel web neanche l’ombra di un video (ma la grande, vividissima memoria, sì). È davvero difficile non associare questi grandi nomi al Novecento, più che al Duemila, nonostante siano stati i protagonisti della TV dei primi anni del Nuovo Millennio. Massimo Ranieri e i suoi programmi Rai, accompagnato da un’orchestra di sole donne, Al Bano e le sue comparsate a Porta a Porta e su Mediaset (quasi sempre con uscite che più trash non si può) e poi qualche flebo allungata da Carlo Conti, con i suoi programmi nostalgici e stupendi, che ripescano tra i tanti anche questi tre grandi interpreti. Nostri amati baby boomer non sono solo le fondamenta dello spettacolo odierno, ma la linfa vitale. Quanti video circolano nel web, quanti meme, quante ospitate? Ci hanno insegnato ad amare, a essere professionisti, e ci hanno permesso di coniare il termine cringe. Se si vuole proprio ricordare qualcosa, si pensi alla vicenda di Al Bano con l’Ucraina. Proprio il Paese oggi in guerra, nel 2019 inserì il cantante nella lista nera degli individui considerati una minaccia, per via della sua ammirazione per Putin, mai nascosta in effetti, che lo faceva passare per un filo-russo convinto. Amadeus spera che l’intervento di Zelensky Sanremo sia un messaggio di pace? Poteva metterlo in contatto con Al Bano per un duetto.