Ah che brutta cosa le accise, il cui ripristino sta creando non pochi grattacapi al governo. Infatti, da qualche giorno, gli automobilisti hanno visto lievitare il prezzo di diesel e benzina di 18,3 centesimi al litro. I prezzi alla pompa oscillano talvolta superando i 2 euro al litro, e potrebbe aumentare ancora, con annessa e scontata protesta dei consumatori e dell’opposizione all’esecutivo Meloni. A cambiare il prezzo dei carburanti negli ultimi mesi è stata la scelta di mettere in pausa i prezzi dei carburanti tagliando di 25 centesimi le accise. Con la consapevolezza che, una volta scaduti i termini della manovra, a farne le spese in termini di consenso sarebbe stato il governo. L’attuale premier Meloni ha scelto di concentrare i 21 miliardi di euro del pacchetto Energia, su provvedimenti che non prevedono la continuazione dei sussidi sul fronte delle accise. Le ragioni sono semplici, una è puramente contabile: il governo Draghi ha finanziato lo sconto sulle accise anche grazie all’extra gettito assicurato proprio dagli aumenti del prezzo dei carburanti.
La seconda ragione viene dalle raccomandazioni di Bruxelles: una volta superata l’emergenza, i bonus generalizzati vanno sostituiti con misure più selettive e mirate. Motivazioni che quindi vanno a spiegare il mancato rinnovo al taglio delle accise e, di conseguenza, il rialzo dei prezzi alla pompa. Non solo, a far salire i prezzi è anche il doppio embargo europeo imposto al petrolio russo: quello sul greggio importato via nave scattato lo scorso 5 dicembre e quello sui prodotti raffinati russi che entrerà in vigore dal 5 febbraio. L’Europa importa circa 80 milioni di tonnellate di gasolio, di cui 25 dalla Russia, quindi sui mercati europei mancherà circa il 30% di prodotto. Volumi che sicuramente non sarà semplice sostituire. Ad aumentare anche i costi di produzione delle raffinerie che lavoravano greggio russo e che hanno dovuto adattare la raffinazione agli altri tipi di greggio.