Qualche settimana fa lo abbiamo visto lì, in prima linea, alla manifestazione contro la richiesta di archiviazione da parte della Procura di Roma dell'inchiesta sulla strage di Ustica. Ora, Edoardo Purgatori lo abbiamo intervistato. Perché a questa storia è legato in modo particolare. Non solo per il peso che la tragedia porta con sé nella storia italiana, non solo per il dolore che ancora oggi si legge negli occhi di chi ha perso qualcuno su quel volo. Ma anche per suo padre, Andrea Purgatori. Per il suo lavoro instancabile, per quella ricerca della verità che è stata la sua missione, il suo atto di resistenza. Andrea Purgatori, che con la sua penna ha scavato dentro questo caso, che non ha mai smesso di cercare risposte, anche quando sembrava impossibile trovarle. Che con il giornalismo ha fatto molto più che raccontare i fatti: ci ha educati a leggerli, a capirli, a non accontentarci mai della versione più facile. Edoardo era accanto ai familiari delle 81 vittime della tragedia aerea avvenuta il 27 giugno 1980 del Dc9 dell'Itavia (Bologna-Palermo). Si trovava davanti al Museo della Memoria che conserva il relitto del Dc9 insieme ad alcune figure della politica italiana, che forse però non erano abbastanza. “Sono più o meno sempre le stesse persone, quelle che in un modo o nell’altro hanno mostrato interesse per la causa”, ci dice. E allora la domanda è sempre una: cosa possiamo fare per non lasciare che questa storia venga inghiottita dal tempo? Mentre ce lo chiediamo, restano loro, quelli che la verità continuano a cercarla, a metterci la faccia. Sempre lì, in prima linea.

Edoardo Purgatori. Alla manifestazione contro la richiesta di archiviare l'inchiesta per la strage di Ustica, hai detto che “sono poche le persone che ci mettono la faccia per cercare la verità e chiederla oggi”. Cosa possiamo fare per farci sentire?
Credo che, per farsi sentire, sia semplicemente importante parlarne, condividere attraverso canali come i social o testate giornalistiche, perché riguarda le vittime, i loro parenti, ma soprattutto noi in quanto cittadini italiani. C'è stato uno scenario di guerra in un momento di pace e, ad oggi, non sappiamo come 81 concittadini siano morti, quindi questa cosa è quantomeno preoccupante, se non agghiacciante. Qualunque tipo di canale di comunicazione va sfruttato.
Penso alle scuole dove il concetto di storia spesso si ferma all’inizio del secolo scorso. Non credi sia importante, anche da giovane padre, che fatti come la Strage di Ustica vengano raccontati nelle classi per alimentare il desiderio di verità dei più piccoli?
Io penso che nelle scuole sia importante parlare di qualsiasi tipo di evento che riguarda il nostro Paese, sia nel bene che nel male, soprattutto quando si tratta di eventi tragici e delle pagine più brutte della nostra storia. Fare memoria, ma soprattutto fare tesoro della nostra memoria, è fondamentale per evitare che certe cose possano riaccadere e affinché le generazioni più giovani possano prendere in mano il testimone e continuare la battaglia che i parenti delle vittime stanno portando avanti da 45 anni. Penso anche ad altri casi, come quello di Emanuela Orlandi e ad altri ancora.
Alla manifestazione, davanti al museo che custodisce il relitto del Dc9, erano presenti alcune figure della politica e della vita pubblica di Bologna. Hai l’impressione che il Paese, e in particolare la politica italiana, avrebbe dovuto prestare più attenzione a questa vicenda?
La politica italiana deve interessarsene di più. Non a caso sono più o meno sempre le stesse figure che in un modo o in un altro hanno mostrato interesse per la causa. Chi in prima persona, chi in via diretta indiretta hanno sostenuto le famiglie delle vittime. Chiedo al governo italiano di impegnarsi di più di questo caso. Torniamo sempre al discorso di poterci e volerci mettere la faccia.

Tuo padre Andrea ha cercato di dare luce e speranza ai familiari delle vittime indagando e raccontando il caso. Oggi senza di lui pensi che questa fame di ricerca stia pian piano scemando nel mondo dell’informazione?
Oggi essere un giornalista d’inchiesta e poter fare quello che lui ha fatto al Corriere per più di 45 anni, e non solo su Ustica ma anche su tante altre inchieste, è più difficile perché come tutti i lavori anche i giornalisti sono messi in condizioni pessime e precarie per lavorare. Sono pochissimi i giornali che possono sostenere le spese di un’inchiesta, che ha bisogno di tempo, cura, soldi e fondi. Attualmente mi viene in mente il Nyt, che ha fatto le inchieste più scandalose, in Italia forse Fanpage? È molto difficile e anche poco interessante per alcuni giornalisti, che preferiscono mettere più se stessi in primo piano invece di fare un lavoro sporco e in un certo senso noioso, per poter cercare i fatti da riportare al pubblico. Sicuramente l'interesse non sta scemando, ma le figure davvero interessate a fare questo tipo di inchieste sono sempre meno.
Come riportato da Adnkronos, Anthony De Lisi, fratello di Elvira e zio di Alessandra, entrambe morte nel disastro aereo del Dc-9 Itavia, in una lettera inviata al Presidente della Repubblica avrebbe chiesto di dichiarare le 81 vite spezzate nella strage di Ustica “vittime civili a seguito di un'azione di guerra”. Cosa significherebbe avere una risposta?
Avere una risposta, credo, rappresenterebbe la possibilità di chiudere una ferita probabilmente insanabile, evitando che venga costantemente riaperta, e offrire un po' di pace, oltre alla possibilità di ottenere un risarcimento per quella tragedia. Ma significherebbe anche un atto politico che valorizzerebbe il nostro Paese, la nostra Costituzione, e il diritto di tutti noi a conoscere la verità. Sarebbe un modo per riaffermare radicalmente i valori che, se non vigilati, rischiano di essere dati per scontati. Le famiglie da 45 anni non riescono a mettere un punto a una tragedia che continua a devastarli.
Andrea Purgatori diceva che “sgretolare questo muro di gomma è possibile” in riferimento all’inchiesta sulla strage di Ustica. Oggi che è stato chiesto di archiviare l'ultima inchiesta sul caso, ti chiedo come avrebbe reagito lui a questa notizia. Avrebbe detto ancora nel 2025 che “sgretolare questo muro di gomma è possibile”?
Non so cosa avrebbe potuto dire ma penso che sarebbe stato profondamente amareggiato e in parte se lo sarebbe aspettato, ma non avrebbe mai mollato, come non ha mollato negli ultimi 45 anni. Bisogna farlo insieme: più siamo, meglio è, e io spero che sia possibile, che questa gomma si secchi, ma senza un’azione politica forte da parte del nostro governo, o di qualcuno che, a un certo punto, si metterà la mano sulla coscienza, difficilmente riusciremo a fare di più di quanto sia stato fatto finora. Le indagini sono state riaperte sulla base di quanto ha dichiarato Cossiga nel 2008, è qualcosa di difficile, ma non deve spaventarci.
Tuo padre la verità l’ha sempre cercata attraverso il giornalismo d’inchiesta. Tu attraverso la recitazione racconti altre verità, quelle dei personaggi e delle loro storie di vita. Ti è mai capitato di sentire un legame stretto e profondo tra questi due mondi (giornalismo/ recitazione)?
I miei genitori mi hanno trasmesso una curiosità profonda verso la vita, insegnandomi a non fermarmi mai alle apparenze e a cercare una verità che, sebbene non assoluta, spinga ad andare oltre, a scavare nelle cose più complesse e stratificate. La recitazione, come il giornalismo, utilizza paradigmi e modalità diverse per trasmettere emozioni, viverle, raccontarle e farle vivere agli altri. Il giornalista cerca di riportare fatti, creando un’opinione che consenta al pubblico di formarsi una propria esperienza rispetto a ciò che è accaduto. I miei genitori mi hanno trasmesso questo approccio. L’attore, in un certo senso, è anche un giornalista: deve scoprire le vite delle persone e dei personaggi, che non sono mai fissi, ma si evolvono.
