Tutta Italia parla di Edy Ongaro. 46 anni, nato a Giussago di Portogruaro - un paesino nel veneziano - combatteva in Donbass dal 2015 con i separatisti filo russi, si faceva chiamare Bozambo. È morto in trincea, facendo scudo ai suoi compagni colpiti da una granata. La notizia è stata riportata dal Collettivo Stella Rossa - Nordest, che dopo aver avvisato la famiglia ha scritto un lungo post su Facebook attirando una grande attenzione mediatica. Edy, si legge, era “puro e coraggioso, ma aveva commesso degli errori”. La sua storia però è più complessa di così. C’è chi dice che Ongaro avesse messo le mani addosso a una ragazza, chi aggiunge che è scappato in Ucraina per sfuggire a una condanna per aggressione. C’è chi, ancora, si chiede cosa stesse facendo un volontario di stampo comunista schierato nella Russia di Vladimir Putin in una guerra che, al netto di ogni sforzo di comprensione, si fatica a definire ideologica. Abbiamo cercato Massimo Pin, l’uomo che ha dato l’annuncio della morte di Ongaro, per farci raccontare chi era, in cosa credeva e perché non hanno esitato a definirlo “un uomo fragile”. Massimo è piuttosto teso, ci racconta che in mattinata è stato inseguito da una troupe di Mediaset: “Volevano tirare fuori il dolore dalla storia di Edy, mi hanno chiesto di raccontare il dramma della sua vita. Sono venuti a suonare a casa di mia madre, a casa mia… volevano portarmi in tv ma ho detto di no”.
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Massimo Pin racconta chi era per lui Edy Ongaro 'Bozambo'
Gli chiediamo di parlare di Edy e di quello che lo ha spinto a combattere in Donbass: lui accetta, ribadendo che Ongaro era un fratello nonché uno dei fondatori del collettivo. Vuole sapere in anticipo le domande e, a fine intervista, chiede di cancellare l’ultima parte: non vuole parlare della guerra. “Siamo in piazza per muovere un po’ le cose e per non lasciare tutto agli anarchici”, spiega subito. Poi continua, dicendo che: “Il Collettivo Stella Rossa - Nord Est un laboratorio politico, il comunismo per noi è un orizzonte da raggiungere. Ci battiamo contro il capitalismo ma adesso siamo di fronte ad un fascismo di guerra: l’informazione è unilaterale e vengono demonizzate tutte le espressioni di dissenso alla mentalità che si vorrebbe imporre nelle masse”.
Spiega anche cosa rappresenta, per il Collettivo, il leader ucraino Zelensky: “Un burattino nelle mani della NATO, degli Stati Uniti. È una guerra in cui l’Ucraina combatte per interposta persona sulla propria pelle perché a soffrirne sono i civili”. Gianmatteo Ramon, un altro degli attivisti in piazza, aggiunge che: “Questo conflitto comincia nel 2014, nel momento in cui l’occidente decide di rovesciare il presidente eletto Yanukovich, che poteva avere tutti i problemi del mondo ma era un presidente eletto. È andata al potere la Tymosenko che ha messo al bando il partito comunista ucraino. Da quel momento lì non si può più parlare di democrazia. Zelensky ha eliminato altri 11 partiti di opposizione di sinistra e questo golpe è stato organizzato da popolazioni neonaziste. A quel punto il popolo del Donbass si è ribellato. Noi in loro vedevamo ‘i buoni’. Ora la Russia è entrata in Ucraina con la scusa della denazificazione, così la chiama Putin, ma è solo una scusa. Se avessero voluto tutelare la popolazione del Donbass sarebbero intervenuti otto anni fa”.
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Massimo Pin: chi sono Zelensky e Putin?
Sul perché Edy Ongaro abbia deciso di partire per il Donbass danno entrambi una risposta legata all’ideologia. Dicono che Ongaro era un puro, che era riuscito a dare un senso alla vita attraverso la guerra: “Per me era un amico - le parole di Massimo Pin - con lui ho avuto un’amicizia pressoché fraterna. Gli amici si scelgono tra le persone che hanno gli stessi ideali. È andato là perché nel 2014 iniziò una guerra per la resistenza al fascismo atlantista che si manifestava in Ucraina. Combatteva contro quelli che sono adesso noti come battaglioni Azov, Aidar: veri e propri battaglioni nazisti integrati all’interno dell’esercito ucraino. Edy credeva fortemente nei suoi ideali. Era una persona estrema, dalla musica al calcio che viveva da ultras. Ha avuto grandi difficoltà che lo hanno portato a momenti di debolezza. Su di lui è stato gettato fango, come si fa per colpire un simbolo. Io invito tutti ad andare a guardare il casellario giudiziario di Edy Ongaro. Ha colpito un carabiniere nell’adempimento delle sue funzioni, ma non aveva altro a suo carico. Non è scappato per questo motivo, non è scappato e non faceva il mercenario. Aveva giusto il vitto e un kalashnikov in dotazione”.
Quando chiediamo come mai, nel loro comunicato, si legge di un uomo fragile, entrambi restano sul vago: “Ha avuto un trascorso familiare complesso - dice Ramon - una vita difficile, io lo conoscevo da quando aveva 17 anni. Aveva interiorizzato tantissimo l’ideale e non riusciva ad esprimerlo. Quando è andato in Donbass è cambiato perché lì si sentiva utile”. Delle difficoltà della sua vita, ancora una volta, non vogliono parlare: “Lui delle tristezze parlava pochissimo, era così, faceva la battuta e la buttava in caciara. Negli ultimi tempi raccontava però che in trincea si pativa la fame, stavano 15 giorni in prima linea al freddo, mangiando scatolette quando c’erano”.
Gli mostriamo il lavoro di Gabriele Micalizzi (ne parliamo qui) che ha immortalato una donna torturata, marchiata a fuoco con una svastica e uccisa: “Conosco quella foto, ma non mi stupisce - risponde Pin - già nel 2014 vi furono esempi di questo tipo, quasi un centinaio di donne scomparse nel nulla dopo che i partigiani del Donbass persero Mariupol’ contro i battaglioni nazisti della Azov". Poi parla Ramon: "Un mondo diseguale come questo non si è mai visto: stiamo tornando al Novecento e per noi la risposta è il 1917”.
Edy Ongaro non era, come scrivono dal Collettivo, un martire che si è immolato “per rompere il castello di bugie di questa guerra e rilanciare la lotta antifascista”. Era un uomo solo a cui restavano due strade soltanto: tornare in Italia e affrontare una possibile condanna o andarsene e lottare per le idee altrui. Meglio la seconda, di sicuro. Meglio l’inferno della guerra piuttosto che quello del nulla, del castigo e della solitudine, di vivere ai margini della società in un paese di provincia. Non lo ha fatto per denaro e probabilmente ne andava orgoglioso. In caduta libera, da esseri umani, tentiamo per istinto di aggrapparci a qualcosa: Edy Ongaro aveva trovato un appiglio che si chiama Donbass, un appiglio scomodo e instabile. E ci è rimasto appeso per sette anni con un kalashnikov in mano.
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Gianmatteo Ramon: "Il 1917 è la nostra risposta"