Antonio Filosa si è presentato ai dipendenti Stellantis con sorrisi, sfogliatelle e la 500 ibrida in tasca. In un Heritage Hub tirato a lucido, davanti a 700 operai e impiegati di Mirafiori il nuovo amministratore delegato, napoletano ma cresciuto ed esploso come manager in Sudamerica – ha impresso per la prima volta la propria effige sul futuro del gruppo: toni motivazionali, tante buone intenzioni e la promessa di un “nuovo corso”. Parole che significano revisione del piano Dare Forward 2030 – il piano per il futuro incentrato su tecnologia, sostenibilità e investimenti “etici” – senza però buttare nell’umido la transizione all’elettrico. Si corregge, piuttosto: spazio all’ibrido (che il mercato capisce meglio) e prezzi più accessibili, perché la rivoluzione green, se resta per pochi, non si vende. La 500 doveva essere solo elettrica? Troppo ambiziosa. Ora sarà anche ibrida. Mirafiori “torna centrale” – così racconta – ma la linea è ancora ferma per installare i nuovi robot e le rassicurazioni suonano più come tamponi d’emergenza. Filosa chiede di dimenticare l’ex-Fca e l’ex-Psa – “Siamo Stellantis!”, esclama – e giura che l’azienda sarà unita, competitiva e piena di gioia. L’entusiasmo però non basta a coprire il sospetto che l’Italia, più che centrale, resti una vetrina utile per le conferenze stampa e le ricorrenze aziendali. Le nomine di tre manager italiani – tutti e tre “marchionniani” – nel Leadership Team suonano come una mossa diplomatica: più fumo che arrosto, mentre la produzione vera traballa? E intanto Torino spera nella 500 ibrida, ultima spiaggia industriale.

Anche John Elkann lo sa: le vere stanno altrove. Gli Stati Uniti sono il nodo che non si può non sciogliere. Lì le vendite crollano (-15 per cento), le auto ferme si moltiplicano, Chrysler è un marchio vintage e i sindacati, dopo le promesse non mantenute su Belvidere, hanno il dente avvelenato. Filosa ha fatto ordine, dicono, e per questo ha ottenuto la promozione. Ma il clima è teso, tanto che Elkann ha dovuto chiamare Trump – di nuovo – per rassicurarlo su nuovi investimenti a stelle e strisce. Il tycoon ha apprezzato, ma l'impressione è che la diplomazia non basti a tenere insieme una baracca che perde pezzi. E poi c’è l’Europa, che non sa se vuole costruire auto o solo comprarle: dazi, regole monstre pensate per i Suv e nessun piano concreto per salvare le city car. La 500 elettrica non vola, e Stellantis – che intanto ha perso l’8,4 per cento di vendite nei primi 5 mesi – rincorre il mercato tra slogan motivazionali e tagli strategici. Le ibride crescono, ma intanto Tesla crolla e la confusione regna. Filosa dovrà rianimare un gruppo gigante, pesante e schizofrenico, che oscilla tra il sogno della mobilità green e la realtà di fabbriche ferme, modelli vecchi e una governance che risponde a capitali stranieri. Elkann sorride dai salotti buoni, ma il peso dell’operazione è tutto sulle spalle di Antonio. E a questo giro, Marchionne non risponderà al telefono.
