Stellantis non è solo un trend, ma una cosa seria. L’abbiamo seguita con le nostre intervista, ma vale la pena di ricordare che il punto è uno solo: la multinazionale di John Elkann trascinerà Stellantis nella crisi? E in che modo? Abbandonandoci dopo aver monopolizzato (o quasi) un settore? O restando per colare a picco? Parliamo di un settore strategico per l’economia italiana, fondamentale. La differenza tra l’automotive e altre aree di interesse italiano non è solo la storia, una storia che per altro lega la famiglia Agnelli-Elkann e l’azienda ex Fiat proprio allo Stato italiano e, dunque, ai finanziamenti pubblica; ma anche il futuro. Come nota Sandro Iacometti su Libero, “C’è un dato di diversi mesi fa elaborato dall’Anfia, l’associazione che rappresenta tutta la filiera delle quattroruote e che ieri ha di nuovo lanciato l’allarme sull’effetto domino che puà scaturire dal crollo dell’auto, che quantifica il peso del settore sull’economia italiana. Qualche numero? Gli addetti alla produzione dell’intera industria automobilistica sono 273mila distribuiti in 5.528 imprese che fatturano 86 miliardi, rappresentano il 9,9% del manifatturiero e il 5,2% del Pil. È il settore, spiega l’Anfia, con il più alto moltiplicatore di valore aggiunto. Il che significa anche che, in caso di flessione, ha la potenza distruttiva di una bomba atomica”.
Bomba atomica. Quest’anno Stellantis chiude con 300 mila vetture prodotte in Italia, praticamente la metà dell’anno precedente (- 45% rispetto al 2023). La sola crisi del settore auto e di quello tessile ha causato la flessione dell’intera manifattura italiana, continua Iacometti. Un tanto confermato da Confindustria. Le cose non sembrano per altro migliorare. Anzi, se possibile, l’attuale situazione di instabilità, dovuta anche alle dimissione milionarie di Carlos Tavares, potrebbe peggiorare. La tendenza a evacuare nei momenti di crisi, comunque, non è solo un fenomeno italiano. Anche Volkswagen pare stia guardando oltre l’Europa. Verso dove? Il Messico. È lì che potrebbe spostarsi la produzione di Golf, in particolare a Puebla. Dopo lo sciopero di 100mila iscritti all’IgMetal, il sindacato tedesco delle tute blu, l’azienda sta pensando di fuggire. Difficile esprimersi diversamente. Fuga già iniziata per altro ma che potrebbe portare a delle conseguenze drastiche anche oltralpe. Il quotidiano tedesco Handelsblatt lancia l’allarme, ricordando che oltre 48 città su 400 contee tedesche dipende dalla presenza di fabbriche che, inevitabilmente, chiuderanno se aumenterà ulteriormente l’esportazione, che è ciò a cui sta pensando proprio Vw. Insomma, in due pagine Libero inquadra un fenomeno: il grande esodo. Ma ciò che questa aziende lasciano sarà il deserto?