In Sardegna, la diffusione a macchia di leopardo della dermatite nodulare contagiosa tra i bovini dell’isola ha innescato il regime emergenziale da parte dell’amministrazione regionale. Tramite l’assessorato alla difesa per l’ambiente è stato approntato un piano da euro un milione e mezzo per la disinfestazione degli insetti che contribuiscono alla diffusione del virus da cui deriva la malattia. Effettivamente per concepire e mettere a terra questo piano, la regione Sardegna ha impiegato circa un mese da quando la diffusione del virus è irrimediabilmente sfuggita di mano. Più di trenta giorni fa, infatti, è stato imposto lo stato di emergenza con l’obbligo di vaccinazione di tutti i capi bestiari in determinate zone rosse e l’abbattimento anche di quelli sani. Da qui, nel giro di trenta giorni hanno iniziato a proliferare sul web tiktokers e influencers che hanno iniziato a gridare con toni apocalittici al complotto. Sui social Elena P, su Instagram @el_onyria, ad esempio sostiene che dietro a questo virus, diffusosi repentinamente, e in maniera sospetta, ci sarebbero le multinazionali dell’energia che vorrebbero fare piazza pulita degli allevatori per costruire infrastrutture green favorite dall’Unione Europea.
Gli allevatori sardi apparentemente più scettici sulla vaccinazione dei capi riprendono il tema della polemica che in Sardegna si trascina da quando vent’anni fa si diffuse la malattia della “lingua blu” e come in tutte le gravi situazioni di emergenza, le opinioni si dividono e si polarizzano. Adesso, con calma, facciamo un bel respiro e proviamo a chiamare l’assessorato alla difesa per l’ambiente di Sardegna. “Prego attendere”, e parte una musichetta jazz che si ripete all’infinito, ipnotica. È comprensibile che un pastore sardo impegnato a chiamare l’assessore per avere delucidazioni, dopo una mezz’ora di attesa vana – perché alla fine nessuno risponderà mai a queste chiamate, potete provare all’infinito – inizi ad inveire contro tutti i santi, la regione Sardegna e infine l’Europa, la grande chimera causa di tutti i mali. Proviamo a ripetere l’operazione con la direzione generale dell’assessorato. Questa volta nemmeno la musichetta jazz, ma il rumore dei vecchi fax. Nessuno risponderà anche in questo caso. Abbiamo allora contattato il virologo Andrea Crisanti, che invece, ci ha risposto subito e ci ha aiutato a fare un po’ di chiarezza sull’entità e sull’origine di questo virus, della sua diffusione e delle misure di contenimento adottate dalla Sardegna e dal ministero della Salute. Purtroppo il quadro che ne è emerso non è dei più rassicuranti e, per altro, in aperta collisione con le teorie del complotto diffuse dagli influencers dell’ultimo minuto.

Il Professore ci ha spiegato che il virus in questione “è un capripoxvirus appartenente alla famiglia dei poxvirus, un lontano parente del vaiolo. La recente misura da un milione e mezzo per la disinfestazione delle aree infette dagli insetti vettori è soltanto un palliativo. Gli insetti, agiscono come vettore del virus soltanto in una fase tardiva, ovvero quando già esiste una diffusione del virus nell'ambiente e tra gli animali infetti. Nelle fasi iniziali il virus si trasmette esclusivamente per contatto diretto, contatto con materiale infetto dall'animale, che emette il virus nella saliva, nel contatto seminale o anche attraverso lesioni della cute. Quindi è chiaro che se un capo sano entra in contatto con un suo simile infetto non c'è bisogno di invocare l'insetto vettore quale causa del problema, in quanto questi svolge un ruolo meramente secondario nelle fasi per via dell'infezione”. Inoltre, purtroppo, il virus che causa la malattia (ricordiamo non trasmissibile all’uomo) “ha questa proprietà incredibile di essere estremamente resistente all'ambiente ed è capace di sopravvivere fino a quaranta giorni nell’ambiente esterno al corpo infetto. Per questa ragione gli insetti, in questo caso, trasmettono per contaminazione un meccanismo completamente diverso da quello della malaria, dengue, tensive e così via”. Il problema di fondo, secondo Crisanti, sarebbe “la contaminazione delle aree dovute, dei pascoli, delle stalle. In modo particolare se ci sono pascoli in comune questo è sicuramente un fattore che aiuta moltissimo alla diffusione del virus”.

Effettivamente, in Sardegna è una pratica molto diffusa, soprattutto nell’entroterra, quella dei pascoli comunali dove i diversi allevatori fanno pascolare i propri bovini insieme. Ma allora la domanda più importante a cui dare una risposta è: da dove arriva questo virus? E perché questa diffusione così incontrollata? Secondo il Professore non è affatto da escludere che “qualche allevatore, in tempi non sospetti” potrebbe aver “omesso di denunciare un caso di dermatite nodulare e aver comunque proceduto alla macellazione del capo malato, contribuendo alla contaminazione sia dei prodotti da questo derivati (carne, latte…), sia dell’ambiente in cui sono avvenuti l’allevamento, la macellazione e la lavorazione del prodotto. Situazioni di illegalità con bovini non registrati e macellazione abusiva potrebbero aver favorito questa situazione”. Dunque la soluzione disposta un mese fa dalla regione Sardegna che impone la vaccinazione e l’abbattimento dei capi “sani” risulta l’unica valida? Secondo l’esperto, parrebbe di sì, dato che la situazione, a quanto pare, è più grave di quanto non si voglia credere e “quelli che vengono definiti capi sani, in verità, potrebbero essere già entrati a contatto con il virus presente nell’ambiente contaminato e quindi a sua volta sviluppare la malattia e contribuire alla diffusione dell’epidemia”. Proprio per questo, chiudere gli occhi di fronte ai problemi non è la soluzione.
